La decisione di Roberto Meneguzzo di rastrellare attraverso Palladio Finanziaria il 5% di Fondiaria-Sai e di fare asse col fondo Sator di Matteo Arpe (3%) per bloccare l’aggregazione con Unipol, si sta riflettendo sul vertice delle Generali e in particolare su Giovanni Perissinotto.
Le ricostruzioni dei giornali, spiega MF, stanno sottolineando i legami tra il group ceo del Leone e il numero uno della Palladio (azionista di Generali tramite Ferak e Effeti), adombrando che l’azione di disturbo messa in atto da Meneguzzo sulla fusione Unipol-FonSai, possa essere finalizzata a impedire la nascita di un polo delle polizze capace di fare concorrenza allo strapotere della compagnia triestina. A questo proposito Perissinotto ha replicato che “la nostra estraneità rispetto a iniziative assunte dai nostri singoli azionisti è ovvia e totale“.
Ma nonostante questa presa di posizione sono rimbalzate le voci secondo cui la mossa della Palladio, unica tra i grandi soci privati di Generali ad avere fatto affari col Leone (il riferimento è agli investimenti della compagnia nei fondi di private equity della società vicentina), abbia riacceso il malcontento tra gli altri importanti azionisti di Trieste. Nessuno, come nella migliore tradizione, esce allo scoperto, ma ai giornali che seguono la vicenda vengono suggeriti spunti per evidenziare come la gestione di Perissinotto, anche dopo l’uscita di scena di Cesare Geronzi, sia piuttosto deficitaria: dai report di quegli analisti che ritengono la compagnia a corto di patrimonio e suggeriscono aumenti di capitale fino al dato più ovvio, ma anche più doloroso, per chi, come Caltagirone, De Agostini, Del Vecchio, Fondazione Crt e la stessa Palladio, ha investito nelle Generali, ovvero la performance del titolo del Leone in borsa.
Fonte: MF Dow Jones (Articolo originale)