Il salvataggio di Fonsai a opera di Unipol, supportata da Mediobanca, è la prima, grande partita finanziaria del dopo Geronzi. Per la leadership di Alberto Nagel, amministratore delegato in piazzetta Cuccia, è il battesimo del fuoco. Lo è sul piano dei bilanci, ma anche e soprattutto del potere: della capacità di indirizzare il corso degli eventi.
Al 30 giugno 2011, Mediobanca risultava avere sottoscritto nel corso degli anni 900 milioni di prestiti subordinati emessi da Fonsai a tassi pari all’Euribor più il 3-4% e avere accordato 80 milioni di crediti alla Premafin, l’holding della famiglia Ligresti, che di Fonsai detiene il 35%. La banca d’affari milanese ha la facoltà, non l’obbligo, di convertire in azioni Fonsai i subordinati, ma solo dopo che la compagnia ha bruciato quasi per intero il capitale, riducendolo sotto i minimi di legge per l’esercizio dell’attività assicurativa. Una simile eventualità sembra sia da escludere perché il consiglio della compagnia fiorentina ha ridotto il patrimonio netto da 1,9 miliardi a 800 milioni. E ha contestualmente aumentato il capitale sociale di 1,1 miliardi senza mai precipitare ai minimi di legge.
D’altra parte, con l’aumento di capitale prospettato, Fonsai torna solvibile e i creditori — Mediobanca come gli altri — ne vengono tranquillizzati. Da questo punto di vista, il proposito di sostenere la ricapitalizzazione di Fonsai, manifestato dagli scalatori Roberto Meneguzzo e Matteo Arpe, certo non disturba certo Piazzetta Cuccia.
Diverso, invece, può essere l’effetto del rastrellamento azionario sui piani di Unipol. Mediobanca ha offerto a Unipol l’intera Fonsai. Avrebbe potuto pilotarne il break up, lo spezzatino. Ha preferito cercare di costruire il secondo gruppo assicurativo nazionale, dopo le Generali. Di questo gruppo sarebbe importante finanziatrice, ma non azionista. A meno che cospicui pacchetti di titoli Fonsai e Generali non restino in mano al consorzio di garanzia da essa stessa predisposto.
Le due priorità
Unipol si era data due priorità: a) pagare poco Fonsai, non più di 5-600 milioni, inclusi i debiti assunti; b) avere il consenso dei venditori Ligresti, di cui avrebbe salvato la holding assumendone tuttavia il comando. A tale scopo Unipol entrerebbe in Premafin attraverso un aumento di capitale riservato e destinato a coprire la quota Premafin della ricapitalizzazione Fonsai. E poi la stessa Unipol farebbe assorbire Premafin da Fonsai che, nello stesso periodo, si fonderebbe anche con la controllata Milano e l’Unipol Assicurazioni.
Ora, se il tandem Palladio-Sator, magari con l’aggiunta di terzi, riesce a costituire una minoranza di blocco capace di congelare le fusioni, che farà Unipol? Se Unipol si ritirasse, per Nagel sarebbe una sconfitta. Ma finora la compagnia bolognese, nonostante la difficoltà di alcune cooperative di produzione e lavoro sue azioniste a tirar fuori quattrini per quest’avventura, è determinata ad andare avanti. Come? Dando esecuzione all’aumento di capitale di Premafin già pattuito e, naturalmente, Consob permettendo. Poi, con il proprio 35% e il 6,7% in mano a Unicredit, la Premafin unipolizzata eleggerebbe il consiglio e il suo top manager, Carlo Cimbri, ne prenderebbe in mano la gestione.
Nel mentre, anche Palladio potrebbe trovare qualche problema. La sua partecipazione maggiore, la Ferak, detiene il 4% di Generali in proprio e tramite il veicolo Effeti, fatto in condominio con la Fondazione Crt. Rispetto ai valori di carico 2010, sul pacchetto Generali grava una minusvalenza teorica di circa 450 milioni. È possibile che nel corso del 2011 siano state fatte operazioni per contenere il danno. Ma se la fondazione torinese volesse far pulizia nei propri conti dovrebbe svalutare di 90 milioni la sua parte di Effeti che, giova ricordarlo, comprò le Generali in buona parte a debito. Se così fosse, come farebbe Ferak a non svalutare il resto del pacchetto Generali imbarcando ben altra minusvalenza?
Accadano o meno tali scaramucce, ci si chiede se la guerra di posizione sia nelle corde di Meneguzzo e Arpe. La breve durata del patto di consultazione Palladio-Sator lascia credere che gli scalatori vogliano vedere i risultati senza lungaggini. Sulla carta, una mossa vincente sarebbe proporre a Unicredit una via d’uscita diversa e migliore. Ma la strada maestra per mettere in ginocchio l’operazione di Nagel rimane quella di lanciare un’Opa sull’intera Fonsai e quindi, a cascata, sulle minoranze azionarie della Milano. Eseguendo poi con mezzi interamente propri l’aumento di capitale Fonsai. Ma per questo colpo non basterebbero due miliardi. Ma giocarsi due miliardi cash sulla ruota di Firenze, assumendosi il doppio rischio dell’eredità Ligresti e dei titoli di Stato italiani in pancia a Fonsai, è un affare dai profili al momento difficili da capire.
Autore: Massimo Mucchetti – Corriere Economia