Ce la può fare il piccolo Davide, cioè la holding vicentina Palladio Finanziaria (nella foto, la sede) in compagnia della Sator di Matteo Arpe, a battere il Golia delle assicurazioni, Unipol, nella contesa sull’ex impero dei Ligresti? Ha i mezzi, le risorse per scalare Premafin-FonSai? O è un boccone troppo grande da digerire? Quando Palladio con Sator si è palesata nei giorni scorsi con un’offerta da 450 milioni sulla ex cassaforte del costruttore siciliano molti degli osservatori se lo sono chiesto.
Non che Palladio non sia conosciuta, soprattutto in Veneto dove ha l’ambizione di fare da solotto buono del Nord Est, ma finora ha operato come holding di partecipazioni su realtà molto diversificate: imprese industriali, real estate da ultimo persino le scommesse di Snai. Gli ultimi dati pubblici sulla Palladio sono del 2010 e svelano un gruppo senza debiti bancari (solo 25 milioni); una liquidità disponibile per 135 milioni; un utile netto di 4,6 milioni e un patrimonio netto (tra capitale e sovrapprezzo di emissione) per 463 milioni. Vista così una piccola macchina da guerra. C’è capitale pari all’intero attivo, niente dipendenza dal credito e un portafoglio partecipazioni che vale per la società 222 milioni. Solidità è il mio slogan potrebbero intonare i due amministratori di Palladio, Roberto Meneguzzo e Giorgio Drago. E non avrebbero torto.
Ma questa è la facciata: il gruppo era ancora più solido nel 2007, con 556 milioni di patrimonio, cento in più dell’attuale dotazione. Ad assottigliare la forza relativa le copiose perdite subite nel 2008 e 2009 con un rosso di bilancio cumulato per circa 45 milioni e un dividendo (l’unico) staccato per 20 milioni. Di fatto il 2010 con quei 4,6 milioni di utili ha solo invertito la tendenza. Resta da recuperare il deficit di bilancio. Non facile dato che molte di quelle perdite sono di fatto svalutazioni dei valori delle partecipazioni. Cosa vuol dire? Che i prezzi d’acquisto si sono rivelati troppo alti nel tempo rispetto all’andamento del business. Accanto a partecipate e fondi di investimento brillanti, Palladio registra cadute di valore come i 4 milioni del Fondo Star; i 2,2 milioni del fondo RealVenice e il milione e mezzo di minor valore di Sofipa. E poi ecco le svalutazioni sulla società Beta per un milione e le perdite nel 2010 per 1,9 milioni di Venice Spa e il passivo di 1,3 milioni di Vei Capital che fronteggiano i 2,8 milioni di utili di Oppida. Certo è una fotografia datata, ma a Vicenza le bocche sono cucite sul bilancio del 2011 ancora non pubblicato.
Difficile però pensare che l’annus horribilis sui mercati finanziari di tutto il mondo non abbia lasciato uno strascico negativo anche sulle attività di Palladio. E del resto già nel 2010 uno degli azionisti bancari di peso, cioè il Banco Popolare ha rettificato al ribasso del 20% il valore di Palladio. C’è poi il peso di Generali. Palladio ha il 24% di Ferak, la holding che con Effeti investe stabilmente sul Leone di Trieste. I titoli Generali per 800 milioni di euro sono in carico a 23 euro. Di fatto il doppio delle attuali quotazioni, il che implica una minusvalenza milionaria per Palladio. Del resto che quell’investimento sia costato è indubbio. Per vederne gli effetti basta risalire sulla catena di controllo. L’ultima scatola che governa su Palladio è Sparta Holding. Ebbene il valore della Ferak è stato portato da 36 milioni a 18 milioni. Dimezzato e ora risalito a 57 solo grazie alla ricapitalizzazione per 40 milioni fatta di recente. E la sorpresa sta proprio in Sparta. Mentre Palladio non ha debiti con le banche; questi si concentrano in cima alla catena. Sparta è esposta con le banche da anni per 350 milioni. Palladio capitalizzata e liquida potrà certo indebitarsi per la partita Premafin, meno molto meno la cima della piramide di Meneguzzo e Drago.
Autore: Fabio Pavesi – Il Sole 24 Ore (Articolo originale)