Opinione della Settimana

Ecco le formule oggi più in voga per costruire una pensione integrativa

Nel 2012 il governo intende spingere anche sulle pensioni integrative, le forme previdenziali da affiancare al pilastro obbligatorio in modo tale da ottenere un saggio di sostituzione (rapporto tra ultimo stipendio e assegno pensionistico) più alto al momento di uscita dal mercato del lavoro. Un tema spinoso, soprattutto per le nuove generazioni dato che è stimato che il saggio di sostituzione, per i nuovi lavoratori che si vedono calcolare la pensione solo con il sistema contributivo (pensione corrispondenti ai contributi versati) e non più con il vecchio retributivo (assegno proporzionale all’importo delle ultime busta paga ricevute), difficilmente supererà la soglia del 30-40%.

Come dire che se non si fa da sé – ovvero non si affianca alla pensione obbligatoria a una nuova forma previdenziale – il tenore di vita per la terza età è destinato a subire un forte ridimensionamento.

Il governo e il ministro del Welfare Elsa Fornero sono adesso impegnati nella riforma del lavoro. Dopodiché la roadmap dovrebbe volgere dritta alle pensioni. Novità in vista anche per la previdenza complementare. Del resto, il pacchetto Fornero inserito nella manovra salva-Italia di dicembre prevede anche la possibilità di adottare forme di decontribuzione parziale «verso schemi previdenziali integrativi» in favore dei giovani.

Le novità più interessanti che riguardano i giovani potranno riguardare le agevolazioni fiscali per spingere i giovani ad aderire a una forma di previdenza integrativa (fondi negoziali di categoria, fondi pensione aperti o piani individuali pensionistici) trasferendo una quota del Tfr (Trattamento fine rapporto) maturando ma anche liquidità aggiuntiva, utile per costruire un gruzzolo pensionitico da aggiungere a quello del primo pilastro (pensione obbligatoria). In altre parole, potrebbe scattare una riduzione dell’aliquota contributiva nei casi in cui le giovani generazioni rendessero più ampia la loro copertura previdenziale facendo leva sui fondi pensione. Ma prima che questa misura possa diventare operativa toccherà a un’apposita Commissione di esperti, composta da reppresentanti degli enti previdenziali e delle Authority di vigilanza del settore (in primis la Covip), valutarne la praticabilità e l’eventuale portata. Un compito che, secondo quanto prevede il decreto «salva Italia», dovrà essere portato a termine entro la fine del prossimo anno.

Focus sui Pip
Dal mercato risulta una costante crescita dei Pip, i piani individuali pensionistici offerte dalle compagnie assicurative. Si tratta del cosiddetto terzo pilastro, così chiamato per distinguerlo dal secondo pilastro previdenziali (fondi pensione aperti e fondi negoziali di categoria).

I Pip sono in crescita anche perché le compagnie assicurative stanno spingendo molto sulla promozione allo sportello con prodotti finanziariamente sofisticati che affiancano al concetto di rendita vitalizia anche altre formule (previste in realtà anche da molti fondi pensione). Questo doppio fattore spiega perché siano anche mediamente più cari – in termini di commissioni – dei fondi pensione.

Tra le formule che è possibile agganciare alla rendita vitalizia vi sono la formula della rendita certa, della controassicurata, la long term care. Di cosa si tratta?

  • È possibile che il titolare di una rendita vitalizia muoia prima che il montante accumulato sia stato interamente erogato. La rendita certa viene corrisposta nel periodo di certezza, a prescindere dall’esistenza in vita dell’assicurato (nel caso di sua premorienza ai beneficiari designati/eredi). Al termine di tale periodo la rendita: diventa vitalizia se il pensionato è ancora in vita, si estingue se il pensionato è, nel frattempo, deceduto.
  • È inoltre possibile stipulare delle contro-assicurazioni sulle rendite in modo tale che, alla morte del beneficiario, il capitale residuo venga pagato ad un soggetto terzo (gli eredi, il coniuge, o altri indicati espressamente dal titolare). Le clausole di contro-assicurazione, ad esempio, possono essere stipulate con riferimento alle prestazioni di un fondo pensione complementare. Il loro costo, però, riduce in misura variabile l’importo della rendita stessa.
  • E poi c’è la formula Long term care che raddoppia la rendita in caso di non autosufficienza.

Si tratta di formule che hanno un costo e che variano da compagnia a compagnia e da fondo pensione a fondo pensione. Per avere un’idea di massima, prendiamo ad esempio quanto previsto nella convenzione definita nel 2009 da Assofondipensione: un uomo che va in pensione a 65 anni, avendo accumulato un montante finale di 100mila euro con il proprio fondo pensione, potrà ottenere una rendita vitalizia annua di 6.593 euro, che scende a 6.547,89 in caso di rendita certa a 5 anni, a 6409,72 se certa a 10 anni e a 5.955,25 in caso di restituzione del capitale.

Autore: Vito Lops – Il Sole 24 Ore (Articolo originale)

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