«L’interferenza» di Sator e Palladio lo preoccupa marginalmente. In testa ha ben chiaro il progetto Unipol-Fondiaria Sai che porterà alla creazione di un market leader con una quota del 30% e un utile netto al 2015 di 970 milioni. Ieri l’ha spiegato al consiglio di amministrazione del gruppo bolognese e oggi, in questo colloquio con il Sole 24 Ore, è pronto a illustrarlo a tutti i soci.
E per farlo, Carlo Cimbri (nella foto), amministratore delegato della compagnia delle Coop, richiama quattro punti chiave: Fondiaria Sai necessita di un aumento da 1,1 miliardi, Premafin dovrà far parte dell’integrazione, Unipol Banca non è un nodo da sciogliere e l’esposizione complessiva dell’agglomerato verso Mediobanca sarà ridotta. A valle di tutto ciò nascerà una realtà con un combined ratio del 93% e un portafoglio danni di 10,5 miliardi nel 2015.
Avete deciso di prendere misure concrete contro il progetto di Sator e Palladio.
Mi chiedo: dov’è il progetto? Detto questo, i legali monitorano la situazione onde evitare che si verifichino azioni che possano recare nocumento alla nostra società.
Rispetto alla vostra proposta uno dei nodi chiave è la debolezza di Unipol Banca.
Riguardo a Unipol Banca abbiamo adottato una politica rivolta alla solidità patrimoniale. Ne è prova che rispetto al 2010 il gap tra impieghi e raccolta è sceso di 400 milioni e il nostro Core Tier 1 è salito all’8,2% dal 6,8%. Quest’anno, tra l’altro, abbiamo ritenuto opportuno apportare una rettifica di valore di 300 milioni sull’avviamento iscritto di 419 milioni.
Da qui un risultato netto negativo di gruppo per 94 milioni. Senza questa posta e senza l’affrancamento fiscale, l’utile a quanto si sarebbe attestato?
In assenza di componenti contabili straordinarie avremmo ottenuto profitti più elevati del target fissato a piano, che per il 2011 era di 105 milioni. Operativamente l’anno appena trascorso ci ha dato grandi soddisfazioni, basti ricordare che il combined ratio per il ramo danni è sceso al 95,5% contro il 97% fissato per il 2012.
Conferma però che non ci saranno dividendi per i soci?
Sì, lo consiglia anche l’instabilità dell’attuale situazione economico-finanziaria. Abbiamo scelto di patrimonializzare il gruppo e questo nonostante un margine di solvibilità del 125% senza decreto anti crisi. E se oggi dovessimo calcolare la riserva di patrimonio rispetto alla chiusura 2011 sarebbe di 500 milioni superiore, che vale più o meno altri 25 punti di solvency.
Tornando a FonSai, il cda ha deciso per un aumento da 1,1 miliardi.
Come abbiamo già avuto modo di dire a Premafin, crediamo che la dimensione dell’aumento di capitale sia assolutamente necessaria in rapporto alla situazione patrimoniale del gruppo, che abbiamo constato anche da recenti verifiche. E la riteniamo sufficiente solo nell’ambito di un progetto di integrazione.
In caso di opzione stand alone secondo lei servono dunque più denari?
A mio avviso sì.
Perché avete deciso di inserire Premafin nel vostro progetto di riassetto? La holding potrebbe uscire dal piano?
Non ci sono elementi che mi portino a pensare di dover cambiare il progetto che stiamo portando avanti. Quanto alla scelta di includere Premafin, è la conseguenza di un unico obiettivo, ossia impiegare tutte le risorse che abbiamo a disposizione per risanare FonSai. Cosa che non avremmo potuto fare nel caso in cui avessimo deciso di rilevare direttamente azioni Fondiaria.
Non temete però che i debiti Premafin possano indebolire il profilo finanziario dell’agglomerato?
Se la negoziazione con le banche andrà in porto, la holding avrà un’esposizione meno onerosa e con scadenze più lunghe. Inoltre, a fusione ultimata, la posizione migliorerà grazie al convertendo, convertibile fin da subito, da 150 milioni. Senza contare che la sola eliminazione di Premafin vale, esclusi gli oneri finanziari, 25 milioni di risparmi di costo all’anno.
Il vostro piano rischia di scontrarsi con le Authority, Antitrust in primis.
Le quote di mercato dell’agglomerato saranno importanti ed è nostra intenzione ridurre il portafoglio nelle zone dove l’Autorità lo riterrà opportuno. Non a caso il piano industriale prevede un decremento del portafoglio danni del 10% a 10,5 miliardi nel 2015.
Si potrebbe porre un tema Antitrust anche vista la forte esposizione, 1,5 miliardi, che avete verso il primo socio Generali, ossia Mediobanca.
Il piano prevede una riduzione di 200 milioni dei subordinati Mediobanca. Lo finanzieremo tramite cessioni o con il ricorso ad altro tipo di debito. È nostro interesse ridurre il livello di concentrazione del credito verso il singolo istituto.
A che punto siete con i concambi?
Ci vuole ancora qualche settimana. Noi siamo pervenuti a una valutazione delle singole aziende, ora però bisogna che si formi un punto di vista condiviso.
Avete stimato più di 300 milioni di sinergie, come le otterrete? Sono previsti anche tagli al personale?
Sarei ipocrita se dicessi che la fusione non creerà sovrapposizione, ma è una cosa che gestiremo con i sindacati. Sarà un importante progetto di ristrutturazione che avrà come focus la redditività, il rigido controllo della qualità assuntiva, la razionalizzazione delle operations e l’innovazione.
Può fare qualche esempio in termini di razionalizzazione?
Linear e Dialogo, per esempio: non ha senso tenere due compagnie on line. E poi nella bancassicurazione si pone l’opportunità di perseguire un progetto importante che vale 5 miliardi di premi: noi abbiamo Arca e Fondiaria ha Popolare Vita.
E il portafoglio immobiliare FonSai?
Ritengo che ci sia ancora da lavorare. In ogni caso, l’immobiliare avrà un’incidenza sull’entità unica del 10%, è un ammontare elevato e puntiamo a ridurlo ma in una logica opportunistica.
A livello dirigenziale c’è chi pensa che Unipol azzererà la managerialità di Fondiaria.
Non si può generalizzare, in una grande azienda ci sono sempre figure di alto profilo e quelle le valorizzeremo contribuendo anche con l’innesto di nostre risorse.
Autore: Laura Galvagni – Il Sole 24 Ore (Articolo originale – #2)