L’assemblea di FonSai approva, con l’astensione dei fondi Sator e Palladio, il via libera all’aumento di capitale fino a 1100 milioni, ma rimane fredda sulla confluenza in Unipol come epilogo finale del riassetto. E, a sorpresa, evita un processo pubblico alla gestione dei Ligresti relegando sul sito internet la lunga risposta dei sindaci alla denuncia presentata in ottobre dal fondo d’investimento Amber.
Sator e Palladio che da settimane stanno dando battaglia per un piano di salvataggio alternativo a quello di Unipol – con una partecipazione dell’8% pesavano ieri per circa il 16% degli azionisti presenti – alla fine si sono dunque astenuti sull’aumento di capitale ritenendo che non fosse stata chiarita a sufficienza in assemblea la sua “indipendenza” rispetto alla successiva integrazione di FonSai con la compagnia bolognese.
Se la società ha giudicato l’iniezione patrimoniale in ogni caso necessaria c’è però «una contraddizione – ha rilevato il rappresentante di Sator Giacomo Garbuglia – poichè l’aumento è subordinato a un consorzio di garanzia bancario vincolato all’operazione con Unipol».
L’ambiguità, per la verità, è nelle cose. Il presidente Jonella Ligresti e l’ad Emanuele Erbetta hanno spiegato come si è giunti alla decisione di incrementare nuovamente il capitale. E se Fonsai ha ieri sottolineato che le «manifestazioni di disponibilità» delle banche al consorzio sono «condizionate all’esecuzione del progetto di integrazione», Jonella Ligresti allo stesso tempo si è detta «ragionevolmente serena nel rassicurarvi che le condizioni di mercato ci consentirebbero di realizzare l’operazione di aumento di capitale anche se svanisce la fusione con Unipol». Un simile scenario – ha subito aggiunto – «non è contemplato» ma, in fondo, ne esisterebbero anche i presupposti industriali.
Il piano di riassetto “in solitaria” messo a punto con la consulenza di McKinsey ipotizza nel 2014 – è emerso ieri – utili di gruppo per 400 milioni, un solvency ratio del 150% e un combined ratio (rapporto tra spese e premi nel comparto danni) del 96,2 per cento. Di fronte a queste cifre, nella platea degli azionisti, c’era chi (sottovoce) si augurava un incidente di percorso nella marcia di avvicinamento a Bologna. Tanto più che, nei primi due mesi del 2012, il margine di solvibilità della compagnia è risalito (dal 78 a 90 per cento) e la riserva degli attivi “disponibili per la vendita”, dove si scaricano le minusvalenze, è migliorata di circa un miliardo. In sintonia con le osservazioni di Sator e Palladio, ieri Fonsai ha ammesso che l’inclusione di Premafin (e dei suoi debiti) nella fusione finale con Unipol, peggiorerebbe di 16 punti il suo solvency ratio. L’argomento è tuttavia controverso perchè già adesso i debiti di Premafin pesano nel margine di solvibilità della holding (62% a fine dicembre). Occorrerebbe poi considerare i nuovi capitali (600 milioni) che affluirebbero nel nuovo aggregato con Unipol. E inoltre una parte dei debiti Premafin si trasformerebbe, nell’ambito della stessa fusione, in capitale di rischio.
Autore: Riccardo Sabbatini – Il Sole 24 Ore (Articolo originale)