Il tasso di crescita è molto alto, +9,5% nel 2011, ma non è una buona notizia. Non si tratta infatti di Pil, bensì dei costi – stimati dalle compagnie assicurative – delle proprie polizze di copertura sanitaria fornite alle aziende e quindi ai loro dipendenti. L’Italia, in questo caso, se la cava un po’ meglio rispetto alla media mondiale, che arriva al +10,5%.
I numeri vengono dal rapporto «Global medical trends» di Towers Watson, società di consulenza nel campo della gestione delle risorse umane e finanziarie. John Haley (nella foto), presidente e chief executive officer del gruppo con sede a New York, è arrivato nei giorni scorsi in Italia, proprio mentre sul mercato «piovevano» i dati sui compensi di presidenti e amministratori delegati delle società quotate. Sono numeri che non poche volte hanno superato il milione di euro, se non addirittura i 10 milioni, accendendo il dibattito sull’opportunità di un divario così alto tra maxi compensi al vertice e normali retribuzioni in azienda, e tra stipendi di alti dirigenti e salari di «semplici» operai.
Per Haley un maggiore utilizzo di benefit come i piani sanitari, esteso a tutti i dipendenti, «potrebbe aiutare a ridurre il gap più di quanto facciano molte politiche retributive». Il loro valore – argomentano i consulenti di TW – sarebbe infatti più significativo per impiegati ed operai, che possono accedere alla sanità privata con maggiori difficoltà; a condizione però che le aziende tengano sotto controllo i costi scegliendo con attenzione le prestazioni e i gestori (anche ma non solo assicurativi) di tali piani. I bilanci devono naturalmente essere in grado di sostenere l’onere. Un tema collegato è quello delle pensioni. Anche la contribuzione ai fondi pensione dovrebbe avere – per TW – un ruolo maggiore nelle politiche retributive delle aziende.
«Le due nazioni più vecchie al mondo sono Italia e Giappone», spiega Haley a proposito di cittadini ed età media. «In Italia – aggiunge – la percentuale di over 65 è la stessa della Florida», noto «buen retiro» degli anziani benestanti americani. Un’altra particolarità italiana? Nei nostri fondi pensione (quelli di settore, «industry wide») la percentuale di obbligazioni è più alta, molto più alta, di quello che succede in tanti altri Paesi industrializzati. E tra le obbligazioni ci sono anche i titoli di Stato.
Autore: Giovanni Stringa – Corriere della Sera (Articolo originale)