Il Governo Monti è giustamente impegnato in una riforma delle “authority”. Affinché questa riforma non si riduca ad un semplice (seppur sacrosanto) taglio della spesa, è giusto chiedersi quali sono le funzioni assolte da queste authority e come tali funzioni possano essere svolte più efficacemente in altro modo.
Il modello delle authority nasce nel 1887 negli Stati Uniti. All’epoca i piccoli coltivatori premevano politicamente per imporre limiti al potere delle società ferroviarie. Domandavano un prezzo «equo», che non avvantaggiasse i grandi coltivatori. Le imprese ferroviarie, inizialmente contrarie, abbracciarono l’idea: capirono che l’Interstate Commerce Commission (l’authority dei trasporti) li avrebbe aiutati a sostenere un cartello di prezzo. E così fu. Da strumento di protezione dei consumatori, l’Icc divenne strumento della loro oppressione, imponendo dei prezzi minimi e sostenendo i profitti delle imprese ferroviarie. Quando i camion cominciarono a minacciare il monopolio delle ferrovie, il Congresso americano estese l’authority dell’Icc anche ai trasporti su gomma e poi anche agli aerei. Fu solo alla fine degli anni 70 che Carter liberalizzò il settore.
Nonostante il fallimento della prima authority, le agenzie di regolamentazione si moltiplicarono. Oggi negli Stati Uniti se ne contano più di cento. Il modello fu poi esportato in molti paesi, tra cui il nostro. La prima authority italiana fu la Consob nel 1975. Da allora ne sono nate più di 14. Perché? La dottrina ufficiale vuole che questo successo derivi dalla necessità di regolare settori molto specifici, che richiedono elevata competenza, limitando al tempo stesso un’eccessiva influenza dell’esecutivo.
Guardando alla realtà (sia americana che italiana) è difficile credere a questa versione. Salve nobili eccezioni, la competenza dei commissari è generalmente mediocre (basti pensare al macellaio Guazzaloca commissario dell’antitrust). E lungi dall’essere indipendenti dall’esecutivo, le authority spesso ne fanno i voleri, senza sopportare alcuna conseguenza politica. È forse una fortuita coincidenza che l’americana Sec iniziò la causa contro Goldman Sachs all’inizio del dibattito parlamentare sulla riforma finanziaria e la chiuse il giorno in cui la riforma fu approvata dal Senato?
Le authority non sono solo costose ed inutili: sono anche dannose. Invece che proteggere i consumatori, proteggono le imprese esistenti dalla concorrenza, bloccando i nuovi entranti. Quando la francese Groupama acquistò azioni in Premafin la Consob (a mio avviso giustamente) impose l’obbligo di Opa a cascata su tutte le sussidiarie. Groupama si ritirò. Ma oggi che la stessa offerta la fa Unipol, la Consob non si muove. Perché?
Il favoritismo verso le imprese regolate nasce dalla pressione ambientale in cui le authority operano. Se, per esempio, l’Isvap, che vigila sulle assicurazioni, impone regole troppo severe, le società interessate possono ricorrere al tribunale amministrativo, rendendo difficile la vita del presidente dell’ente. Ma se l’Isvap chiude un occhio sulla cattiva gestione di un’impresa assicurativa, chi protesta? Non certo gli assicurati, che non sono informati e, anche se lo fossero, non avrebbero un interesse economico sufficientemente grande da giustificare il costo di una causa. Lo stesso vale per i piccoli azionisti.
E qui sta il paradosso delle authority. Nacquero per proteggere i consumatori, che sono poco informati e troppo dispersi per difendere i propri interessi. Ma falliscono per lo stesso motivo: la scarsa capacità di pressione economica e politica dei consumatori dispersi e poco informati.
La soluzione non è eliminare tutta la regolamentazione, ma cambiare il meccanismo con cui questa regolamentazione viene fatta rispettare. Il motivo per cui gli standard di sicurezza effettivi in America sono così elevati non è dovuto a nessuna authority, ma al rischio di una causa legale. La class action (quella vera, non il simulacro italiano) ristabilisce i rapporti di forza tra i consumatori e i produttori. Un produttore è politicamente più influente perché solitamente ha molto da perdere. Ogni consumatore, invece, ha poco da perdere. Moltiplicata per il numero di consumatori, però, la perdita può essere notevole. La class action permette di aggregare questi casi individuali in un procedimento collettivo: una causa da un milione di euro diventa uguale a un milione di cause da un euro l’una.
Il vantaggio di regole fatte applicare dalle class action, invece che da un’authority, è che chi deve fare rispettare le regole non può essere facilmente “catturato” da interessi politici ed economici. Come è possibile mantenere la neutralità di un presidente di authority (non eletto) che può spostare centinaia di milioni di euro con le sue decisioni? Anche senza tangenti, i meccanismi di pressione non mancano. Se invece qualunque avvocato può fare causa a nome dei consumatori danneggiati, il rischio di cattura non esiste.
Ovviamente, affinché le regole possano essere fatte rispettare dalla class action e non dalle authority, occorre che le regole siano poche e ben chiare. Ma questo è un ulteriore beneficio del sistema alternativo. Oggi regolatori e regolati (per non parlare dei loro avvocati) sono tanto più contenti quanto più la regolamentazione è complicata, perché diventa una fonte di potere per i regolatori e una barriera all’entrata per i regolati. La regolamentazione ideale invece è limitata e semplice. Ma in quanto tale può essere approvata direttamente dal parlamento, che ne risponde all’elettorato. Oggi nessuno è politicamente responsabile di una miriade di regolamenti che pesano sulla nostra economia.
Forse questa riforma è troppo radicale per un governo tecnico. Ma Monti potrebbe almeno ridurre il numero delle authority e far sì che i loro presidenti siano nominati non dall’esecutivo, ma dal Presidente della Repubblica. L’imposizione di rigide norme temporali sulle assunzioni degli ex commissari nel settore privato ridurrebbe il rischio di cattura. Per finire, l’introduzione di una seria norma sulle class action potrebbe supplire alle scarse capacità di enforcement di queste authority. Anche questa riforma limitata sarebbe meglio dello status quo.
Autore: Luigi Zingales – Il Sole 24 Ore (Estratto articolo originale)