Il confronto con la scelta di mantenere il trattamento in azienda
Qualora i fondi pensione fossero in grado di garantire sempre, rispetto alla corrispondente rivalutazione del Tfr (trattamento di fine rapporto), il differenziale di rendimento che i dati provvisori recentemente pubblicati dalla Covip (la Commissione di vigilanza sui fondi pensione) hanno evidenziato, la convenienza per i lavoratori di destinare il Tfr ai fondi pensione risulterebbe essere assolutamente evidente. Ipotizzando, infatti, al netto della tassazione dell’11%, un tasso annuo di rendimento pari all’8% (all’incirca quello medio ottenuto nel 2012) e una rivalutazione del Tfr pari al 3% (sempre all’incirca quella media prevista nello stesso anno) la prestazione netta che un dipendente potrebbe ottenere destinando il Tfr in un fondo pensione risulterebbe essere particolarmente più elevata rispetto a quella che riceverebbe lasciando il Tfr in azienda.
La dote alternativa
Tralasciando il contributo aziendale al quale avrebbe diritto partecipando ad un fondo pensione, se ipotizziamo un lavoratore che giunga al pensionamento a 66 anni, con una retribuzione annua lorda di 50mila euro in valore reale la prestazione netta dal fondo pensione stimata sotto forma di rendita vitalizia annua risulta essere variabile, da 24.181 a 2.370 euro, a seconda se il dipendente abbia iniziato a versare il Tfr al fondo pensione dall’età di 26 anni o da quella di 56. La corrispondente prestazione netta maturata qualora il Tfr sia stato lasciato in azienda, ipotizzando sempre che il lavoratore converta la somma ricevuta sotto forma di capitale in una rendita vitalizia annua, risulta essere invece di 6.675 euro a partire dai 26 anni di età e 1.496 dai 56 anni (rispettivamente quindi una riduzione del 72 e del 37% delle corrispondenti prestazioni maturate nell’ambito dei fondi pensione).
Il vantaggio del Tfr ai fondi
Un risultato simile si ottiene anche nel caso in cui i fondi pensione ottengano un tasso annuo di rendimento esattamente coincidente con la rivalutazione prevista per legge dal Tfr. I vantaggi sono ovviamente più contenuti e sono sostanzialmente dovuti ai benefici fiscali che il legislatore ha deciso di concedere a favore di questi programmi. La prestazione dal fondo pensione infatti corrispondente al Tfr versato è tassata, al netto dei rendimenti ottenuti, ad un’aliquota variabile dal 9 al 15% a seconda del periodo di iscrizione. Quella corrispondente al Tfr viceversa è soggetta a un’aliquota decisamente più elevata (pari a circa il 30% nell’esempio considerato). Purtroppo i fondi pensione non sono sempre in grado di ottenere i rendimenti che hanno generato nel corso del 2012. Nel 2011 ad esempio, il tasso annuo di rendimento medio è risultato, in linea con l’evoluzione dei mercati finanziari, negativo. Tale tasso è risultato anche più contenuto rispetto a quello medio ottenuto dai fondi pensione presenti in alcuni specifici paesi dell’area Ocse.
Il panorama europeo
Nell’ultima pubblicazione dedicata dall’Ocse alle problematiche pensionistiche (Pension Markets in Focus) del settembre 2012 il tasso annuo di rendimento medio dei fondi pensione italiani per il 2011 è stato riportato pari a meno 2,8%, rispetto ad una media ponderata dei vari paesi pari a meno 1,1%. Dietro di noi, tra gli altri, Belgio, Grecia e Portogallo (rispettivamente con un -4,6%, -5,6% e -7,3%). Davanti a noi, tra gli altri, Regno Unito, Spagna e Danimarca (rispettivamente con un meno 2,5%, meno 2,2% e, con il miglior risultato ottenuto da tutti i paesi, pari al 12,1%). Il rendimento dei nostri fondi pensione è stato sicuramente influenzato dalla diversa composizione che il patrimonio gestito ha assunto rispetto a quella degli altri paesi. Tale composizione dipende in maniera fondamentale dalle scelte operate dai lavoratori nei confronti delle varie linee di investimento offerte. I lavoratori italiani non sono particolarmente propensi all’assunzione di rischi finanziari elevati. A conferma di ciò, rispetto ad una media del 46%, circa il 65% del patrimonio dei nostri fondi pensione è destinato all’investimento in titoli di debito e contratti assicurativi. Tra i titoli di debito, i nostri fondi pensione sottoscrivono per circa l’83% (rispetto ad una media del 68%) obbligazioni emesse dalla pubblica amministrazione. La componente azionaria e quella relativa ai fondi comuni risulta essere più contenuta della media degli altri paesi (circa il 21% rispetto al 36%). Tra i paesi dove i fondi pensione hanno ottenuto i risultati più elevati è possibile rilevare la presenza di Olanda, Canada e Svizzera (con rispettivamente l’8,2%, l’1,8% e lo 0,6%). Tali paesi sono caratterizzati dalla presenza di fondi pensione che a differenza dei nostri, a contribuzione definita pura, non trasferiscono tutti i rischi di natura finanziaria e demografica sugli iscritti, ma concedono ai lavoratori una serie di specifiche garanzie (sia in termini di rendimenti minimi, sia in termini di conversione in rendita delle prestazioni maturate sotto forma di capitale eccetera). In situazioni del genere la gestione delle risorse è solitamente demandata all’organizzazione che si fa carico di offrire la relativa garanzia (la società, il gestore finanziario, quello assicurativo eccetera). Talvolta, con risultati positivi in quanto, a differenza del singolo iscritto, tali soggetti sono più in grado di sostenere i rischi finanziari dell’investimento e più portati ad assumere un approccio di lungo termine, in qualità di investitori più maturi.
Autore: Claudio Pinna – Il Sole 24 Ore