Opinione della Settimana

Chi smette di versare al fondo pensione incasserà anche un quinto in meno

Pensione Integrativa ImcQuasi 1,2 milioni di aderenti ai fondi pensione hanno smesso l’anno scorso di versare i propri contributi al proprio fondo pensione. Si tratta di chi ha perso il lavoro, i cassintegrati, lavoratori in mobilità o anche chi, come lavoratore autonomo, ha dovuto far fronte alle esigenza del presente, a scapito delle proprie nel futuro. L’effetto crisi è stato così quantificato dalla Covip, commissione di vigilanza sui fondi pensione, nella sua relazione annuale per il 2012; rispetto all’anno precedente, hanno dovuto ricorrere a questa misura centomila lavoratori in più. A conferma di quanto la crisi incide ci sono le 65mila richieste di anticipazioni prevenute ai fondi pensione.

Ma quanto incideranno queste mosse sugli assegni pensionistici di domani? E come si potrà rimediare? Andiamo con ordine e prendiamo il caso di un lavoratore che si prepara ad andare in pensione a 66 anni circa, secondo quanto previsto dalla riforma Monti-Fornero. In caso di contribuzione continuativa per tutta la carriera fino alla costituzione di un montante contributivo di 100mila euro, il lavoratore si prepara ad incassare una rendita vitalizia pari a 6.828,08 euro, che vanno ad aggiungersi alla pensione di primo pilastro. Ipotizzando l’interruzione per tre anni della contribuzione al proprio fondo, il lavoratore si troverà ad incassare 5462,46 euro: oltre cento euro in meno al mese.

Analogo il divario per la collega donna: una lavoratrice che smettesse di lavorare a 63 anni con eguale montante finale dopo una carriera lineare e continuità contributiva, si troverebbe – a pari condizioni – una rendita pari a 5325,15 euro, inferiore rispetto a quella degli uomini in ragione del fatto che l’aspettativa di vita delle donne è maggiore. In caso di interruzione della contribuzione per tre anni, la lavoratrice si troverebbe con una pensione di scorta scesa a 4260,12 euro l’anno. Anche in questo caso la differenza è rilevante e resta di poco sotto i cento euro al mese di assegno complementare, che si aggiungerà a quello di primo pilastro.

Ovviamente l’elaborazione può fornire risultati differenti in base a differenti dati di calcolo: maggiore ovviamente sarà la “vacanza” contributiva e più rilevante sarà la differenza negativa, in caso di interruzione della contribuzione.

Che fare, dunque? Innanzitutto è il caso di sottolineare la duttilità e la flessibilità del sistema di secondo pilastro: non è trascurabile il fatto che in caso di necessità si possa interrompere la contribuzione senza incappare in alcuna sanzione (essendo ovviametne volontaria l’adesione alla previdenza complementare). Inoltre la possibilità di ottenere anticipazione rappresenta un’opportunità particolarmente vantaggiosa per i lavoratori: la fiscalità è inferiore rispetto all’aliquota marginale prevista dal reddito da lavoro (15% per spese mediche, 23% per casa o altro), non è previsto alcun obbligo di restituzione né alcun taso di interesse è applicato; ma in caso di ricostituzione della propria posizione di secondo pilastro, il denaro che “ritorna” al fondo è deducibile fiscalmente entro la soglia dei 5164,57 euro annui. Una convenienza rilevante rispetto al conferimento del proprio Tfr in azienda o allo Stato (per aziende con almeno 50 dipendenti) a ciò che l’industria del credito chiede come interessi a finanziamenti o prestiti personali.

Autore: Marco lo Conte – Il Sole 24 Ore (Articolo originale)

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