Se dalla cessione di attività assicurative, Carige Sgr (già portata a termine) e la quota in Autofiori, Carige (nella foto, la sede) non riuscirà a ottenere gli ottocento milioni necessari alla ricapitalizzazione chiesta da Bankitalia, non è detto che il piano B sia bussare alla porta dei soci, nuovi e vecchi, chiedendo i soldi necessari per la parte mancante. C’è anche la strada di nuove cessioni che potrebbero toccare la private bank Cesare Ponti, proprietà immobiliari, ma anche parte delle quote detenute nelle controllate Cassa di risparmio di Carrara, Monte di Lucca e altro ancora. Anzi, sarebbe questa la soluzione preferita dal primo socio dell’istituto, la Fondazione. In ogni caso, pochi scommettono che le cessioni decise bastino. Carige Sgr è stato un buon affare per la banca, ma la plusvalenza incassata è sotto i 100 milioni. Per Carige Vita e Carige Assicurazioni – nonostante il lavoro di ripulitura dei bilanci con nuove iniezioni di capitale a fine 2012 – sinora si è fatto avanti solo il fondo Clessidra.
L’indiscrezione sulla strada di nuove cessioni – assolutamente compatibile con il mandato delineato dal cda che parla di aumento di capitale “il più possibile contenuto” mentre non ci sono riferimenti alle attività che potenzialmente si possono dismettere – emerge così mentre il mondo finanziario si interroga sulle mosse dei soci privati dell’istituto, in primis il gruppo Gavio, immaginando che una robusta parte dell’aumento di capitale sarà coperto dagli azionisti. Questo porterebbe alla riduzione della quota in mano alla Fondazione che, per indicazioni di Bankitalia e mancanza di risorse, non potrà muoversi in questo senso nemmeno se lo volesse.
Ma l’idea che, dopo aver sostenuto negli ultimi cinque anni la banca iniettando 700 milioni di euro nelle sue casse, la Fondazione ora possa farsi da parte in buon’ordine non è tra le opzioni che vuole prendere in considerazione il suo presidente Flavio Repetto. Lo scontro con Berneschi, alla fine, si è giocato proprio su questo, con il presidente della banca che a quanto pare valutava la possibilità di un ingresso in forze nella compagine istituzionale di Unipol. Ma la partita sui nuovi vertici, dopo che la dimissione di otto consiglieri su quindici ha fatto cadere il vecchio cda della banca, è ancora tutta aperta. Il mondo politico-istituzionale sarebbe infatti in fibrillazione per come il Cavaliere sta gestendo, abbastanza in solitudine, la partita delle nomine. Il presidente della Fondazione potrebbbe convocare il board a ridosso del 5 settembre, ultima data per la presentazione la lista, senza quindi affrontare lunghe discussioni e trattative ed evitando al minimo possibili pressing dalla politica che, in una maniera o nell’altra, chiede di avere voce in capitolo pur riconoscendo l’autonomia decisionale del cda e del presidente, espressioni di un consiglio di indirizzo a sua volta espressione delle istituzioni del territorio. Tra gli enti coinvolti, ricordiamolo, ci sono i Comuni di Genova e Imperia, la Province delle rispettive città (ma a Genova c’è il commissario), Camere di Commercio e Regione Liguria. Un nome è anche espressione della Curia. «La Fondazione è autonoma nelle scelte, ma una più corale assunzione di responsabilità non guasterebbe», dice una fonte che fa notare come il Cavaliere stia ignorando partiti e istituzioni. Va letta anche in questo senso la richiesta del presidente della Regione Claudio Burlando per una guida che dia «il senso di banca nazionale», mentre l’ex senatore Pdl Luigi Grillo chiede alla Fondazione di ridurre la sua quota. Nei giorni scorsi, inoltre, il Pd aveva convocato alcuni consiglieri di indirizzo della Fondazione, concordando con questi di lasciare la palla in mano alle istituzioni. Tra questi, sinora silente il sindaco Marco Doria, ieri incalzato in consiglio dall’Udc che chiede al sindaco di far sentire la propria voce sulle nuove nomine.
Autori: Samuele Cafasso e Gilda Ferrari – Shippingonline (Articolo originale)