L’imprenditore si candida: «Ma prima vediamo chi sarà l’amministratore». Torna l’ipotesi di un intervento della compagnia bolognese
Una battuta, poco di più. Eppure destinata a far rumore: la famiglia Malacalza sarebbe disposta a investire in Carige, a condizione che sia scelto un amministratore delegato di grande spessore. Lo ha detto il capostipite della famiglia imprenditoriale genovese, Vittorio, ieri alla Spezia in visita allo stabilimento Asg. «Se alla guida di Banca Carige dovesse arrivare un amministratore delegato veramente in gamba potremmo anche essere stuzzicati», è la risposta data ai giornalisti. Si saprà a breve visto che la scelta del nuovo amministratore delegato è attesa per fine mese al più tardi.
E’ la prima volta che l’imprenditore si espone sul dossier anche se il nome della famiglia Malacalza circola da parecchio tempo per un semplice motivo: tra gli imprenditori genovesi non ce ne sono molti (probabilmente nessuno) che abbiano a disposizione una liquidità di circa 800 milioni – un miliardo di euro in attesa di investimenti. A tanto ammonta infatti il patrimonio della famiglia, oggi amministrato in gran parte dai due figli di Vittorio, Davide e Mattia, che ieri non si sono esposti.
A livello di identikit – imprenditori genovesi con grande liquidità – i Malacalza sarebbero in linea teorica il socio ideale per l’istituto che ha un bisogno assoluto di nuovi capitali. Ma la strada che porta la famiglia dentro Carige è tutt’altra che spianata o in discesa. Già una volta, antecedentemente all’avventura in Pirelli, a quanto risulta al Secolo XIX era stata esplorata la possibilità di un ingresso della famiglia nell’azionariato della banca. Ma non se ne fece mai niente perché, in primis, a fronte dell’impegno finanziario la famiglia voleva avere un peso nel governo dell’istituto che la Fondazione non era disposta a riconoscere. In seconda battuta – ma la cosa non è affatto irrilevante ed è in parte collegata al primo punto – esiste una antipatia profonda e di lunga data tra Vittorio Malacalza e il presidente della Fondazione, Flavio Repetto. Una incompatibilità totale che renderebbe impossibile la convivenza tra i due tanto da alimentare le voci per cui, l’uscita di ieri di Vittorio Malacalza, sia stata anche un modo per mettere pressione su Repetto.
Ma non ci sono solo i Malacalza: secondo alcune indiscrezioni sarebbe tornata in campo anche Unipol, dopo i rumors – smentiti dalla compagnia – su un fantomatico piano supportato dall’allora presidente Berneschi per mettere in minoranza la Fondazione. Questa volta, invece, ci sarebbe un piano per creare un nocciolo duro di soci che governino la banca con un ampio accordo.
Quel che è certo è che il problema di uno o più nuovi soci forti si porrà per Carige in tempi brevissimi. Per due ragioni, una più economica e l’altra politico-regolamentare. Sul primo versante, la banca è a caccia di 800 milioni entro la fine dell’anno. In massima parte l’obiettivo è reperire questi soldi dalla vendita di controllate ma il piatto forte – cioè la vendita delle due compagnie assicurative – è una partita maledettamente complicata. Un possibile acquirente, il fondo Clessidra, ha già fatto un passo indietro. Ora, ha spiegato il dg Ennio La Monica, si sarebbe fatta avanti un primario gruppo europeo. Ma la chiusura non c’è ancora. Se l’istituto fosse costretto a un, pur piccolo, aumento di capitale a integrazione dei ricavati delle cessioni, la Fondazione che oggi ha il 46,6% non potrebbe certamente fare la sua parte poiché già indebitata con Mediobanca a causa di un precedentemente aumento di capitale. Ma, e arriviamo al secondo punto, anche se avesse i soldi necessari difficilmente potrebbe partecipare all’aumento di capitale senza incorrere nelle ire di Bankitalia e del Tesoro che a più riprese, anche negli ultimi giorni, hanno chiesto alle Fondazioni di diluire le loro quote negli istituti di riferimento e diversificare gli investimenti. Fondazione Carige, invece, oggi investe più del 95% del suo capitale in azioni della banca. Addirittura il ministro Fabrizio Saccomanni starebbe pensando a una legge per regolamentare la discesa delle Fondazioni e i vertici dell’Acri, che riunisce le Fondazioni bancarie, hanno aperto all’ipotesi. La stessa Fondazione ha già fatto sapere di essere alla ricerca di un socio, ma con alcuni paletti: no a investimenti speculativi (il titolo oggi quota poco sopra gli 0,5 euro contro i 2,5-3 di pochi anni fa) e no a soci che snaturino la “genovesità dell’istituto“. Il sindaco di Genova, in un’intervista, era stato ancora più netto: meglio restino alla porta banche concorrenti.
Autore: Samuele Cafasso – Il Secolo XIX