A poche settimane di distanza dalla prima edizione dell’Health Insurance Summit, approfondiamo assieme ad Orazio Rossi (nella foto) – Country President e Rappresentante Legale della Branch Italiana del Gruppo ACE – alcuni dei temi affrontati durante la tavola rotonda “Cosa fanno le compagnie di assicurazioni per promuovere i fondi sanitari presso gli intermediari assicurativi”, con un particolare focus sull’attività di ACE Italia, sul ruolo che gli agenti possono giocare nel mercato di previdenza e sanità integrativa e sul peso che i fondi sanitari potranno assumere in futuro all’interno del sistema italiano di welfare
Dott. Rossi, Ace è un importante player nel settore degli infortuni e degli ”employee benefits” e anche nel ramo malattie; il 2012 si è chiuso con un incremento del 262%. Cosa può dirci a proposito dei vostri programmi attuali “Accident and Health”?
ACE è da tempo un player importante nell’assicurare i dipendenti delle aziende contro il rischio di subire infortuni sia in ambito professionale sia extra-professionale. Questo in genere avviene per il tramite di polizze collettive sottoscritte dalle aziende in favore dei propri dipendenti. Molti contratti di lavoro lo prevedono, innanzitutto per le categorie dirigenziali, ma sempre di più a favore anche di impiegati ed operai.
In tale ambito ACE ha da tempo sviluppato alcune componenti salute di natura indennitaria che possono validamente andare a integrare programmi tradizionali limitati agli infortuni. Parliamo di indennizzi predefiniti a fronte di malattie gravi e/o interventi chirurgici, con possibilità di estensione della copertura alle specialistiche e diagnostiche connesse. ACE ritiene che questo sia un modo efficace per approcciare l’area salute senza la necessità di introdurre costosi e spesso inefficienti programmi di rimborso delle spese mediche.
Vi affidate quindi ad un sistema indennitario e non a rimborso. Quali sono i motivi di questa scelta? Vi avvalete di network convenzionati?
Noi riteniamo che il sistema sanitario pubblico, per quanto abbia dei problemi nell’erogare prestazioni in modo omogeneo a causa della regionalizzazione del servizio e sia destinato nel tempo a ridurre il perimetro di quanto garantito, sia ancora una valida risposta ai bisogni primari delle persone. Crediamo poco nei sistemi che anziché essere integrativi diventano sostitutivi e spesso incentivanti fenomeni di “superconsumo”, che rappresentano anch’essi una forma di spreco.
Le coperture di tipo indennitario, invece, riconoscono all’assicurato che ha un oggettivo, serio e già diagnosticato problema, una somma di denaro predeterminata che egli può impiegare con maggiore flessibilità, non solo per accedere alla sanità privata, ma anche per sostenere costi emergenti di natura non sanitaria ai quali si va incontro nel caso di eventi gravi di questo tipo.
Alle coperture di natura indennitaria anche ACE associa alcuni servizi connessi all’utilizzo di un network convenzionato, come ad esempio la presa in carico diretta qualora l’assicurato desideri che l’indennizzo sia direttamente impiegato per pagare la struttura. In particolare ci avvaliamo del network del nostro partner di assistenza, che è uno degli operatori primari del mercato, grazie al quale offriamo ai nostri clienti anche servizi evoluti come la “second opinion” e/o check-up preventivi.
Qual è il canale distributivo sul quale, a suo avviso, si dovrebbe puntare maggiormente per sviluppare la previdenza integrativa e le assicurazioni sanitarie in generale e perché?
A mio avviso sono almeno due i canali oggi esistenti che potrebbero acquisire un ruolo centrale nello sviluppo dei settori previdenza e salute. In primo luogo il canale agenziale grazie alla sua pervasività, al radicamento territoriale e alla sua trasversalità. Purtroppo però questo è un canale che fa fatica ad abbandonare la sua dipendenza dal ramo auto e a riconvertirsi con determinazione su altre aree direttamente o indirettamente correlate al settore assicurativo. Fa specie pensare, ad esempio, che le famiglie italiane spendano “out-of the pocket” in sanità quasi il doppio di quanto spendano in polizze auto. Basterebbe intermediare, in qualche modo, il 20-30% di questo per aver più che sostituito quanto – molti pensano – gli agenti siano destinati a perdere sull’auto per effetto della crescente aggressività di canali alternativi (dirette, “affinity groups”, comparatori, banche).
Accanto agli agenti, anche le banche potrebbero ricoprire una funzione più incisiva nello sviluppo sia della previdenza integrativa sia della protezione dal rischio salute. Entrambi gli aspetti sono fondamentali per l’andamento di una famiglia: la previdenza perché condiziona le scelte di risparmio e il rischio salute per i potenziali effetti devastanti che può avere sull’equilibrio economico finanziario. Nel caso delle banche, si potrebbero valorizzare la pervasività territoriale (benché destinata a ridursi), come anche il generale atteggiamento di fiducia che la clientela privata riserva loro, solo parzialmente incrinato dagli effetti della crisi. Alcune banche più lungimiranti hanno già promosso fondi sanitari per erogare prestazioni a soci e clienti.
Si parla spesso di sistema integrato pubblico-privato con riferimento al Welfare. Ritiene che i Fondi sanitari integrativi possano costituire un’opportunità di sviluppo anche in questo senso o a fronte di un invecchiamento della popolazione rimangono uno strumento poco remunerativo per le imprese?
Sono profondamente convinto che la soluzione nel medio/lungo termine dovrà essere trovata nella giusta integrazione tra pubblico, privato e aggiungerei anche terzo settore, che già oggi ha un ruolo importante in Italia più che in altri paesi nell’erogare servizi di assistenza e supporto alle famiglie di vario genere.
I fondi integrativi sanitari possono a mio avviso essere il veicolo attraverso il quale arrivare a questa integrazione. Lo possono essere per quanto riguarda la componente pubblica poiché è possibile siano promossi da enti territoriali quali comuni e/o province e lo possono essere anche rispetto al terzo settore, potendo attivare quella risorsa straordinaria che distingue l’Italia e che si chiama volontariato.
Per quanto riguarda la componente privata, intendendo soprattutto quella assicurativa, ritengo che in una prospettiva di questo tipo ci sia spazio anche per le compagnie in un ruolo più congruo rispetto al loro mestiere che è quello di assumersi rischi. Lo potrebbero fare assumendosi la quota opportuna di rischio che i fondi sanitari, nell’ambito delle loro politiche di “risk management”, decidessero di non ritenere ma bensì di trasferire ad un operatore specializzato dotato della necessaria solidità finanziaria.
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