L’adesione alla previdenza complementare è irreversibile, ma questo non significa mettere a rischio i propri risparmi previdenziali. Contro gli imprevisti della vita c’è la possibilità di riavere indietro quanto maturato. La legge disciplina i casi di riscatto. Ecco come
Chi matura l’esigenza di iscriversi ad una forma di previdenza complementare, in genere ha pianificato nel lungo periodo le sue esigenze future per garantirsi una vecchiaia al riparo di brutte sorprese. La scelta di aderire è volontaria, ma una volta fatta, è irreversibile, proprio per consentire la migliore allocazione delle risorse fino alla maturazione del diritto alla rendita quando andrà in pensione. Ma i casi della vita sono vari e mutevoli, così la legge ha previsto dei casi in cui è possibile chiedere la restituzione di quanto maturato e uscire dalla previdenza complementare. L’iscritto che perde i requisiti di partecipazione può chiedere il riscatto. I casi in cui è possibile chiedere il riscatto in sostanza non dipendono dalla propria volontà, ma da un fatto indipendente da essa.
Gli aspetti fiscali
Per riscatti dovuti al decesso dell’iscritto, per i lavoratori del settore privato la ritenuta è pari al 15% con riduzione di 0,30 punti per ogni anno successivo al 15° di partecipazione alla forma complementare fino ad un massimo di 6; la ritenuta Irpef può essere quindi del solo 9%. Per riscatti per cause diverse l’aliquota è del 23%.
Per i pubblici dipendenti è utilizzato il criterio della tassazione separata. Diversamente si applica la tassazione ordinaria, ma al netto di quanto già tassato. Con gli Orientamenti del marzo 2012, la Covip, in riferimento al riscatto per perdita dei requisiti di partecipazione, ha stabilito che i fondi pensione possano prevedere nel loro statuto o regolamento, l’opzione per il riscatto parziale con l’individuazione di una o più percentuali (riscatto del 50%, 25% ecc).
Il riscatto per invalidità permanente spetta ogni qualvolta si verifica una situazione di minorazione fisica o mentale tale da ridurre la capacità di lavoro a meno di un terzo, a prescindere dal fatto che il soggetto cessi o meno dallo svolgimento dell’attività lavorativa. Poiché il riscatto comporta l’uscita dal sistema di previdenza complementare, in caso di successiva adesione, il rapporto partecipativo comincia nuovamente a decorrere dalla data di ultima iscrizione, con particolare effetto sulle prerogative degli iscritti legate all’anzianità di iscrizione.
Riscatto individuale in caso di cessione di un ramo d’azienda
Quando avviene la cessione di un ramo d’azienda ci può essere un accordo collettivo che stabilisce la continuità di iscrizione ai fondi pensione di originaria appartenenza. I dipendenti devono dichiarare il loro consenso al mantenimento dell’iscrizione anche se si è cambiato ramo di attività. In questo caso la Covip è del parere che la posizione individuale non può essere riscattata perché non ritiene realizzata una “perdita dei requisiti di partecipazione“.
Per la verifica della perdita dei requisiti di partecipazione vanno, infatti, esaminati non soltanto i profili formali (coincidenza o meno del fondo originario con quello di riferimento della nuova azienda per tutti i suoi lavoratori) ma anche i profili di carattere sostanziale (mantenimento o meno delle condizioni di partecipazione dell’iscritto, anche e soprattutto sotto il profilo dei flussi contributivi, al fondo di originaria appartenenza). Da un punto di vista pratico, per gli iscritti non cambia nulla: possono proseguire senza soluzione di continuità la propria partecipazione al fondo di appartenenza.
Riscatto della posizione per cassa integrazione guadagni
In tema di riscatto della posizione per cassa integrazione guadagni, la Covip ha affermato che, in linea con la previsione in materia di riscatto per inoccupazione, il periodo di 12 mesi di cassa integrazione a zero ore debba essere continuativo, per cui non si possono sommare più periodi inferiori a un anno. La commissione di vigilanza ha, poi, rilevato che per il riscatto dovuto a mobilità, la relativa norma non prevede alcuna durata, fissando il termine (da 12 a 48 mesi) solo per il caso dell’inoccupazione. Ha quindi precisato che la sottoposizione alla procedura di mobilità ed esodati, fa sorgere il diritto di chiedere il riscatto della posizione individuale, nella misura del 50%, a prescindere dalla durata della stessa. In ultimo, considerato che la mobilità presuppone il licenziamento del lavoratore, si è precisato che il lavoratore licenziato e posto in mobilità può legittimamente chiedere sia il riscatto parziale fiscalmente agevolato, sia il riscatto totale.
Poiché il diritto alla rendita previdenziale si matura dopo cinque anni di iscrizione e il raggiungimento dei requisiti alla pensione pubblica, il riscatto totale della posizione non può essere fatto nel quinquennio precedente la maturazione di tali requisiti.
Il legislatore ha scelto di privilegiare la corresponsione della prestazione pensionistica, la cui erogazione in capitale soggiace a precisi limiti quantitativi, cioè fino al 50% della posizione, mentre con il riscatto prenderebbe tutto. Quindi la maturazione del diritto alla pensione complementare da parte dell’aderente lo esclude dalle facoltà di riscatto.
Autore: Camillo Linguella – F Risparmio & Investimenti