Opinione della Settimana

Montani: «Assicurazioni Carige, vendiamo entro fine anno»

Piero Luigi Montani ImcIntervista al nuovo amministratore delegato: «Il piano da 800 milioni? Ambizioso, ma ce la faremo. Contiamo su nuovi soci stabili: li preferiamo liguri». Assicurazioni, vendita entro fine anno: «C’è molto interesse»

Sveglia all’alba e riunioni convocate alle 7 del mattino, con una tolleranza che raramente sfora i trenta minuti. I primi ad essersi accorti del cambiamento, in Banca Carige, sono stati i dirigenti. «Io come Renzi? No, guardi, nessun plagio: questi sono i miei orari da sempre. Vero, presidente?», e giù un sorriso di pietra rivolto a Cesare Castelbarco Albani, che dall’altra parte dell’ufficio annuisce: «È vero, Piero è fatto proprio così».

Piero, all’anagrafe, è Piero Luigi Montani (nella foto), il manager tornato a Genova per mettere in sicurezza la cassaforte della città: Banca Carige. Poltrona che scotta, la sua. E non solo per essere appartenuta al padre-padrone della vecchia Cassa di risparmio, Giovanni Berneschi. «Se sono ottimista? Compiti facili non ne esistono, in questo momento – dice al Secolo XIX . La crisi non ha risparmiato nessuno, soprattutto in una regione debole come questa. Eppure ottimista lo sono. La banca ha una storia importante e grandissime potenzialità,oltre a un gruppo dirigente all’altezza. Queste sono le migliori premesse per rilanciare Carige. E cambiarla, dove necessario».

Prima della crisi il modello di banca più ambito era quello di banca internazionale. Durante la crisi anche i big, scottati dagli errori fatti sui mercati esteri, hanno scoperto il modello territoriale. Poi è arrivata la crisi delle banche territoriali. Montani che modello di banca ha in mente?

«Carige è sempre stata una banca territoriale, e continuerà a esserlo. La sua storia è lì a testimoniarlo. Per essere ancora più diretti: il processo di risanamento che abbiamo avviato non intende assolutamente snaturare il dna dell’istituto. Non dobbiamo dimenticare che, pur avendo un peso molto importante, rispetto ai cinque “big” del mercato siamo una realtà di dimensioni medio-piccole. Siamo una banca regionale che non vuole rinunciare a mantenere un forte interesse in altre aree, come la Lombardia, il Piemonte e il Veneto. L’80% della nostra attività si concentrerà, non a caso, nel Nord Italia».

Avete appena approvato un piano ambizioso, che prevede un aumento di capitale di 800 milioni da perfezionare entro l’estate. Ce la farete?

«E’ un piano certamente ambizioso, basti pensare che parliamo di una cifra superiore alla metà della nostra attuale capitalizzazione di Borsa. Ma mi permetta di far notare che quegli 800 milioni, rispetto ad altri aumenti di capitale, sembrano davvero poca cosa. Io resto convinto che Carige possa guardare con fiducia alla realizzazione del piano, nei tempi stabiliti».

Moody’s non è così ottimista. L’agenzia di rating ha messo in dubbio la capacita della banca di arrivare preparata all’esame della Bce, il prossimo autunno.

«Moody’s ha fatto semplicemente il suo lavoro. Si sa come agiscono le agenzie di rating: esaminano il passato, non il presente, e lanciano allarmi sul futuro. Il giudizio di Moody’s, da questo punto di vista, non mi ha stupito. Spetta a noi smentirlo, e il piano che abbia-mo approvato è stata la prima risposta concreta agli scettici».

Carige sta cercando investitori internazionali.

«Cerchiamo chiunque sia intenzionato a investire nella nostra banca».

Certo: ma il road show che avete organizzato all’estero significa che guardate anche al di là dei confini nazionali. Avete riscontrato interesse?

«Fra Milano e Londra abbiamo avuto contatti con una settantina di soggetti. L’unico problema riscontrato è il size della banca: come le dicevo, non siamo un istituto di grandi dimensioni e non tutti ci conoscono. Ma l’interesse, oggettivamente, c’è».

Anche fra gli italiani?

«Noi contiamo molto sugli investitori italiani, soprattutto sui liguri. Nella banca del futuro ci sarà bisogno di qualcuno che conosca meglio di altri il territorio, le sue specificità, le sue esigenze. Anche perché una cosa è un investitore “di transito“, altra cosa è un socio stabile».

Quando si parla di investitori stabili spuntano sempre i nomi di Bonomi e Malacalza.

«Come ho già detto, saremmo ben lieti di averli fra i nostri soci».

Nella situazione che si è determinata c’è il rischio concreto che Carige finisca sotto il controllo di un gruppo straniero?

«In astratto è un rischio, se vogliamo chiamarlo così, che corrono tutti. Anche Unicredit e Intesa».

Nel piano industriale si fa riferimento a tagli dei costi e miglior gestione del credito. Secondo alcuni analisti – di recente ne ha parlato Ernst & Young – con l’avvicinarsi dell’esame Bce le banche potrebbero intervenire negativamente sul credit crunch. Carige come si comporterà con la sua clientela, dalle aziende alle famiglie?

«Sinceramente non vedo questa correlazione diretta fra i test della Bce e l’accesso al credito. Il rafforzamento del capitale, per quanto ci riguarda, servirà proprio a migliorare il rapporto tra banca e il tessuto produttivo del territorio. In Liguria la crisi si è fatta sentire più che altrove: il nostro sostegno alla piccola e media impresa non mancherà».

Il settore marittimo rappresenta ormai la prima industria della regione. Carige come si sta confrontando con i suoi operatori?

«Ho avuto modo di incontrarne parecchi. Tutti mi dicono che i traffici stanno aumentando, e che il solo porto di Genova sarebbe in grado di raddoppiarli se solo avesse delle infrastrutture decenti. Purtroppo, da genovese trapiantato a Milano da anni, non posso che confermare questo limite. Le ricadute positive di un’opera come l’alta capacità/velocità sarebbero immense».

Carige è pronta a fare la sua parte?

«È la città che deve farlo, prima della banca. Senza il Terzo valico le potenzialità del porto rischiano di essere annientate: questo è poco ma sicuro».

A proposito di infrastrutture: fino all’anno scorso Carige era intenzionata a finanziare l’acquisizione dell’aeroporto Cristoforo Colombo da parte della Camera di commercio. Il dossier è ancora aperto?

«Da quando sono qui nessuno me ne ha parlato».

La cessione delle assicurazioni, che assieme ad altri asset valgono circa 90 punti base ai fini del Common Equity Tier 1 di Basilea 3, si sta rivelando tutt’altro che semplice. Adesso che si è conclusa l’ispezione Ivass si sta muovendo qualcosa?

«Cedere un’assicurazione non è mai facile. E uno dei pochi casi in cui esiste un’Autorità che deve vigilare sia sul venditore che sull’acquirente. Detto questo, il fatto di avere chiuso il bilancio e recepito le indicazioni dell’Ivass ci sta agevolando parecchio. Diciamo che dalle manifestazioni di interesse dovremmo passare presto a una o più proposte concrete».

Tempi di chiusura?

«Probabilmente entro l’anno».

Capitolo esuberi. Lei ha garantito che «non ci sarà macelleria sociale».

«Infatti non ci sarà. Il piano non prevede licenziamenti, ma uscite incentivate, pensionamenti e ricollocazioni. Nulla di tragico. Certo: l’organizzazione della rete andrà radicalmente rivista. Rinunceremo a 80/90 sportelli e adotteremo il modello “hub and spoke“, con alcune filiali alleggerite della funzione di cassa, mentre 600 risorse andranno a incrementare l’attività di vendita».

Che cosa si sente di dire ai piccoli azionisti che hanno intrapreso una class action contro la precedente gestione della banca?

«Posso dire che umanamente li capisco, e che immagino la loro rabbia e il loro nervosismo. Ma l’andamento del titolo non dipende dalla banca. In questi anni le azioni Carige sono state sostanzialmente in linea con quelle degli altri istituti. Ai piccoli azionisti chiedo solo tanta fiducia. Spero che accettino il mio consiglio».

Autore: Francesco Ferrari – Il Secolo XIX (Estratto articolo originale)

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