A più di un anno dal varo delle Stp molti aspetti non chiari. Le interpretazioni fornite su importanti aspetti come il regime da applicare alla tassazione dei redditi o il pagamento dei contributi alle casse professionali, hanno di fatto scoraggiato l’adesione alla nuova forma societaria. «Ce lo aspettavamo», dicono gli architetti
Fisco e contributi restano un rebus in grado di dissuadere anche i più determinati. E non sono nemmeno l’unico problema. Architetti e ingegneri, quando si parla di società tra professionisti, sono pienamente concordi: le pochissime Stp attualmente registrate alla Camera di commercio sono l’esito naturale di una norma che è nata con troppi buchi. E che, se non viene corretta nei prossimi mesi, è destinata a restare drammaticamente incompiuta.
Bisogna chiarire la qualificazione dei redditi della società, così come bisogna mettere dei paletti su diverse questioni legate alla previdenza. Allo stesso modo, servirebbero aggiustamenti procedurali, per evitare il doppio passaggio tra ordini e Camera di commercio. E, per correggere tutti gli errori, bisognerebbe rimettere mano anche alla norma sul socio finanziatore. «È valsa la pena lavorare a una norma così complessa per ottenere un esito così minimo?», ci si chiede.
Numeri attesi
La situazione attuale viene perfettamente fotografata da Massimiliano Pittau, direttore del Centro studi del Consiglio nazionale degli ingegneri: «Il numero di Stp registrate finora è perfettamente in linea con le aspettative. Si tratta di uno strumento che, rispetto a una società di ingegneria, non ha nessun vantaggio: noi abbiamo già 10mila società di capitali che operano nel nostro settore». Il problema centrale, per tutti gli osservatori, è costituito da due aspetti. Come spiega Franco Frison, segretario e responsabile del dipartimento mercato e accesso alla professione del Consiglio nazionale degli architetti: «La norma, pur definendo bene tutti gli aspetti procedurali, ha lasciato degli spazi aperti. Sul fronte della qualifica zione del reddito e delle ricadute previdenziali non ha detto niente. Tale incertezza non è stata colmata da un provvedimento di legge, ma solo riempita con una serie di circolari dell’Agenzia delle Entrate e del nostro ente previdenziale di riferimento».
Qualificazione dei redditi
Parlando dei redditi, il tema è nato con il regolamento che istituiva le Stp e, con il passare dei mesi, non è mai stato risolto. In sostanza, non è chiaro se la tassazione del fatturato vada fatta nel suo complesso con l’imposta sulle società (Ires): in questo caso i vantaggi risiederebbero nell’aliquota Ires (al 27,5%) e nella possibilità di dedurre il compenso dei singoli soci dal fatturato della società. Oppure se vadano tassati i singoli soci, come avviene per gli studi associati.
Dopo oltre un anno di interrogativi, siamo ancora al punto di partenza. Con una risposta a un interpello dello scorso 8 maggio, l’Agenzia delle Entrate si è espressa a favore della qualificazione come reddito di impresa. Il che, però, significa ricadere nel principio di competenza e non in quello di cassa: la Stp, in sostanza, dovrà versare imposte su prestazioni eseguite ma non incassate, con evidenti problemi di liquidità, in epoca di ritardati pagamenti sia nel pubblico che nel privato.
Accanto a questa, poi, c’è un’altra questione. Ancora Frison: «Negli ultimi mesi sono stati registrati orientamenti diversi, sempre in via interpretativa. Se tra qualche anno mi si apre un contenzioso e mi trovo con delle rivalse per non avere pagato tasse chi mi garantisce? Serve un intervento normativo». Secondo gli architetti, ci si dovrebbe collocare a metà strada tra il reddito di impresa e quello professionale. «Deve essere un vestito su misura. Il reddito deve essere qualificato come professionale, ma ci devono essere alcuni benefici tipici del reddito di impresa, come in materia di beni strumentali».
Il rebus della previdenza
L’altro problema è rappresentato dai contributi. Inarcassa si è orientata a richiedere la cancellazione della posizione previdenziale del professionista che costituisce la Stp e la successiva apertura di una posizione dedicata alla società: «In questo modo gli enti previdenziali cercano giustamente di tutelarsi – spiega Pittau –. Se non si imponesse l’iscrizione alle Stp, le casse rischierebbero un impoverimento. Anche perché, in prospettiva, noi stiamo già osservando un grande sposta mento verso la forma societaria». La cancellazione, però, anche se non implica la perdita di contributi, tende a disincentivare i nuovi iscritti. Anche in questo caso servirebbe un intervento normativo.
Procedure e soci investitori
C’è un terzo aspetto che non ha aiutato le società: la complessa procedura che serve per costituirle. La Stp, infatti, va iscritta alla Camera di commercio e all’ordine, mentre i professionisti mantengono le rispettive iscrizioni agli albi di riferimento. «È un peso economico e una procedura un po’ macchinosa, anche in questo caso si potrebbe fare qualche correzione», prosegue Frison.
Desta perplessità anche l’impatto che questo assetto ha sulla deontologia professionale: ancora oggi risulta poco chiaro come si ripartisce la vigilanza dei diversi ordini coinvolti.
Ancora, dovrebbero arrivare correzioni alla regola che riguarda i soci finanziatori, soprattutto nel settore della progettazione.
I soci investitori, infatti, sono sottoposti a tre ordini di vincoli. Devono rispettare alcuni requisiti di onorabilità molto stringenti; poi, non possono avere una quota superiore a un terzo del capitale sociale; e, infine, non possono essere soci di più compagini contemporaneamente. Tutti questi lacci hanno evidentemente scoraggiato. «Noi conviviamo da quasi vent’anni con le società di non avremmo nessuna preclusione a un intervento più massiccio del socio di capitale, che anzi sarebbe necessario per partecipare a grandi bandi. Capiamo, però, che altre professioni abbiano qualche riserva in più».
Autore: Giuseppe Latour – Edilizia e Territorio / Il Sole 24 Ore, supplemento Progetti e Concorsi