Il governo vuole snellire il processo amministrativo, aumentando i rischi per le parti litiganti. L’articolo 41 del Dl 90/2014 innova l’articolo 26 del Codice del processo amministrativo (Dlgs 104/2010) elencando tutti gli inconvenienti di una lite. Si parte dalla condanna alle spese prevista già dall’articolo 91 del Cpc (rimborso a favore della parte vittoriosa); si aggiunge una condanna alle spese per singoli atti, qualora si violi il dovere di lealtà e probità (articolo 92); si prevede poi una responsabilità aggravata, se chi perde ha agito o resistito in giudizio con malafede o colpa grave: in tal caso si rischia una plurima condanna al risarcimento danni, sia per sentenza sfavorevole, sia nel caso di provvedimento d’urgenza, tutte le volte che sia mancata la normale prudenza (articolo 96).
Il giudice inoltre può, anche d’ufficio, condannare chi perde al pagamento a favore dell’avversario di una somma equitativa, tutte le volte che la pronuncia risulti fondata su ragioni manifeste. Questa condanna può essere di importo equitativo, cioè rimesso alla prudente valutazione del giudice in funzione del comportamento della parte e degli interessi in gioco, in proporzione alla prevedibilità dell’essere della lite, sanzionando quindi chi volutamente trascuri precedenti di giurisprudenza che rendevano prevedibile l’esito della lite. Tutto ciò sotto l’aspetto strettamente economico, poiché il professionista è soggetto altresì a responsabilità disciplinare, cioè a sanzioni per comportamenti scorretti; qualora la parte soccombente sia una Pa, può emergere anche una responsabilità contabile, qualora l’ente si sia difeso generando indebiti ostacoli, per guadagnare tempo o rinviare l’adempimento di un dovere.
A ciò si aggiungono una serie di esborsi a carico della parte soccombente, che non sono versati a favore della parte vittoriosa, bensì di un fondo gestito dall’Erario, dal quale si attingono risorse anche per la produttività del processo amministrativo (magistrati, dipendenti): l’articolo 41, comma 1, lettera b) prevede infatti una vera propria sanzione pecuniaria a carico della parte soccombente, calibrata in funzione del contributo unificato dovuto nel momento iniziale della lite. Si tratta di una sanzione che oscilla tra il doppio e il quintuplo del contributo stesso (da 1.300 a 30mila euro) che, nelle controversie sugli appalti può lievitare fino all’1% del valore del contratto. L’importo può essere molto rilevante, perché calibrato al valore dell’opera (un ponte, una fornitura di macchinari ecc.).
Autore: Guglielmo Saporito – Il Sole 24 Ore