Le assicurazioni italiane assicurano sempre meno i rischi di malpractice degli ospedali italiani. In Toscana, Liguria, Puglia, Basilicata ed ora anche in Sicilia le compagnie sono uscite di scena, sostituite da forme di autoassicurazione o non assicurazione. Nelle altre regioni prevale un sistema misto in cui si ricorre ad una polizza soltanto per coprire i sinistri di importo maggiore. Gli ultimi dati appena pubblicati dell’Ania, relativi al 2012, riflettono questo trend. La stima dei premi nelle coperture assicurative degli ospedali è in diminuzione (-4,3%, a 288 milioni). Includendo anche le polizze dei medici la raccolta del ramo è invece in crescita (+3,6%, a 543 milioni). Nel 2012 sono stati denunciati 31.200 sinistri in leggero decremento (-0.8%) rispetto all’anno precedente. La riduzione è più consistente (-8%) rispetto al 2010 quando le richieste di risarcimento raggiunsero il picco. Il bilancio tecnico del ramo continua a evidenziare un significativo squilibrio (rapporto sinistri a premi pari al 122% nel 2012) anche se con intensità attenuata rispetto agli anni critici del passato decennio. A partire dal 14 agosto prossimo scatta l’obbligo di assicurazione dai rischi di r.c. professionale per i medici (con l’esclusione dei dipendenti del Servizio Sanitario Nazionale). Oltre il 50% degli “eventi avversi” in sanità potrebbero essere evitati con appropriate misure di risk management. In materia di malpractice l’Italia sconta un ritardo più che decennale rispetto alle riforme strutturali intraprese in molti paesi (tra cui Usa, Francia, Gran Bretagna, Irlanda) nel periodo 2000-2003
Le regioni italiane hanno intrapreso con decisione la strada dell’autoassicurazione (o della non assicurazione) per fronteggiare i rischi di responsabilità civile nei casi di malasanità. Attualmente soltanto la Valle d’Aosta e la Provincia di Bolzano si affidano ancora interamente al mercato assicurativo per rimanere indenni dagli effetti degli errori medici. Per il resto gli enti locali gestiscono per proprio conto le richieste di risarcimenti con schemi regionali o affidati alle singole Asl. E, quand’anche si rivolgono ad un assicuratore, lo fanno ormai solo per coprire i sinistri di maggiore entità (per importi superiori ai 250-500 mila euro).
E’ questo il quadro che emerge dal dossier Ania “Malpractice, il grande caos”, dedicato al fenomeno sempre meno governato della medical malpractice negli ospedali italiani. Il report – ne è autore il giornalista Riccardo Sabbatini – è stato presentato oggi a Roma nel corso di una conferenza stampa cui hanno preso parte – tra gli altri – il presidente dell’Ania Aldo Minucci, il direttore generale Dario Focarelli ed il direttore centrale del settore vita, danni e servizi, Roberto Manzato.
L’ultimo esempio di abbandono dello strumento assicurativo è quello della regione Sicilia dove la polizza in essere, disdettata a fine 2013, è scaduta dal primo luglio scorso lasciando prive di protezione le Asl locali poiché nel frattempo non è stato ancora costituito uno specifico fondorischi promesso dal presidente della regione Rosario Crocetta. In questi frangenti, segnala l’associazione delle imprese assicurative, il minore ricorso alle assicurazioni “comporta un più debole sistema di garanzie, dando minori certezze di risarcimenti equi e rapidi a chi è rimasto vittima di un episodio di malasanità e rendendo più incerta l’attività del personale sanitario esposto a maggiori rischi professionali”.
Appena due anni fa – segnalava un’indagine parlamentare sugli errori medici conclusa all’inizio del 2013 – il 72,2% delle Asl italiane risultava ancora coperto da una polizza. Un così veloce cambiamento è soprattutto la conseguenza del continuo aumento nei costi dei risarcimenti e della crescente difficoltà a stimare i rischi, ciò che ha spinto i principali assicuratori italiani ad essere più selettivi nella copertura dei rischi.
“Gli assicuratori italiani intendono tornare a svolgere pienamente il proprio ruolo nella copertura dei rischi medici – ha sottolineato il Presidente ANIA Minucci – dando certezze ai pazienti vittime di “eventi avversi” e ai medici che svolgono la loro attività. Per far questo però occorre rimuovere le cause di fondo che hanno reso ingovernabile il fenomeno della malpractice. In particolare è necessario intervenire per: circoscrivere la responsabilità dei medici e delle strutture sanitarie; attuare idonee misure di gestione del rischio attraverso la nomina di un risk manager in tutti gli ospedali; porre un tetto ai danni non patrimoniali con l’approvazione delle tabelle di risarcimento dei danni biologici; definire linee guida mediche validate anche per contrastare il fenomeno della medicina difensiva che pesa per oltre l’11% sulla spesa sanitaria”.
Le difficoltà di reperire una copertura – si legge in una nota – riguardano soprattutto le strutture sanitarie mentre quelle individuali relative ai medici sono normalmente disponibili senza particolari difficoltà. Il settore è tra l’altro alla vigilia di un’importante novità. A partire dal prossimo 14 agosto i medici dovranno essere obbligatoriamente assicurati contro i rischi della responsabilità civile, secondo quanto prevede la legge n.148/2011. È una disposizione dalla quale il recente decreto legge sulla “semplificazione” ha esonerato i dipendenti del servizio sanitario nazionale, sia pure con una norma contorta che lascia aperti diversi dubbi interpretativi.
Gli ultimi dati dell’Ania sul fenomeno della medical malpractice, pubblicati in questi giorni, confermano i trend in corso. A fine 2012 (ultimo anno disponibile) la stima dei premi nelle coperture assicurative di ospedali e strutture sanitarie per la prima volta ha mostrato un decremento (-4,3% a 288 milioni) nonostante i presumibili significativi aumenti tariffari resi necessari per fronteggiare le continue perdite del ramo. Includendo anche le polizze sottoscritte direttamente dai medici (255 milioni, +14%) nel 2012 sono stati incassati premi per complessivi 543 milioni (+3,6% rispetto all’anno precedente). La stima dei sinistri denunciati alle imprese di assicurazione italiane nel 2012 è risultata pari a 31.200 (di cui 19.500 relativi a polizze stipulate dalle strutture sanitarie), con una lieve riduzione (0,7%) rispetto all’anno precedente. Il rapporto tra sinistri e premi (loss ratio) per le varie generazioni di sinistri si attesta al 173 per cento. Per ogni 100 euro di premi incassati, cioè, le compagnie ne hanno pagati (o stimano di pagarne) 173 sotto forma di risarcimenti. Tuttavia, mentre fino al 2005 il disavanzo tecnico aveva assunto valori particolarmente elevati, con un rapporto tra sinistri e premi giunto a superare il 310 per cento, negli ultimi anni lo squilibrio è risultato più contenuto. In particolare per il 2012, secondo le valutazioni preliminari, il loss ratio si è attestato al 122 per cento.
Il dossier evidenzia inoltre le seguenti criticità che secondo ANIA “è necessario risolvere per mettere sotto controllo il fenomeno”:
- Approccio atipico dei tribunali italiani nel definire i casi malasanità. Per effetto delle sentenze della Corte di Cassazione succedutesi dal 1999 ad oggi medici e strutture sanitarie sono stati considerati assoggettabili ad una responsabilità contrattuale, ciò che comporta l’inversione dell’onere della prova (posta a carico dei sanitari), la dilatazione dei tempi di prescrizione da 5 a 10 anni. Ed anche una sorta di garanzia di risultato sulle cure prestate. Se queste non sortiscono l’effetto sperato si può essere chiamati a risponderne. Nella gran parte dei paesi europei, invece, vengono indennizzati soltanto i danni causati dagli errori medici, che il paziente deve provare di aver subito. Normalmente ad un medico che si attiene alle linee guida professionali non è imputabile alcunchè;
- Mancanza di linee guida mediche validate a livello nazionale e riconosciute dai giudici. Nel recente decreto Balduzzi (2012) vi è una specifica previsione in tal senso ma non è stata seguita da norme interpretative in grado di fare ordine tra i differenti protocolli e codici professionali in vigore per i sanitari, al fine di escludere la loro responsabilità;
- Mancanza di un tetto alla risarcibilità dei danni non patrimoniali. Il decreto Balduzzi imponeva l’adozione delle medesime tabelle previste per i sinistri nella r.c. auto (per il danno biologico) ma il relativo decreto, in discussione da sei anni e già passato al vaglio di numerosi dicasteri, deve ancora essere approvato dal Consiglio dei Ministri;
- Mancanza di procedure di risk management omogenee a livello nazionale per prevenire i sinistri. Gli studi condotti sul campo mostrano che oltre il 50% degli “eventi avversi” sono evitabili utilizzando lo strumento della prevenzione;
- Carenza di basi statistiche sui sinistri. L’agenzia pubblica Agenas ha il compito di raccogliere e classificare le richieste di risarcimento ma non sempre le Asl sono state finora diligenti nel trasmettere i dati cosìcché quella banca dati è ancora largamente incompleta. La rilevazione dell’Ania rappresenta tuttora la fonte informativa più importante sul mercato assicurativo della malpractice però è, in parte, frutto di stime perché non tutte le compagnie straniere operanti in Italia mettono a disposizione i propri dati. Secondo l’associazione delle imprese assicurative, l’Ivass “potrebbe assumere iniziative per consolidare e rendere pubbliche le informazioni del settore, anche per le compagnie operanti in Italia in libertà di stabilimento o libera prestazione dei servizi”;
- Mancanza di chiare regole impartite alle regioni che decidono di coprire per proprio conto il rischio di malasanità. Manca, in particolare, un obbligo a costituire fondi appropriati, sul modello delle riserve assicurative. Tutto ciò espone gli enti locali, a causa del lungo iter dei sinistri prima di venire risarciti, al rischio di accumulare nel tempo impegni ingenti di ammontare pari se non superiore a quelli che negli anni passati hanno messo a soqquadro i bilanci regionali che hanno fatto ricorso a prodotti finanziari derivati;
- Diffuso ricorso alla medicina difensiva da parte dei sanitati al fine di limitare i rischi legali connessi alle richieste di risarcimento. Secondo la principale ricerca condotta in materia, e che risale al 2010, la medicina difensiva pesa per circa l’11,8% nella spesa sanitaria complessiva. Un onere di circa 13 miliardi che potrebbe essere significativamente ridimensionato affrontando le cause che hanno dilatato il fenomeno della malpractice medica.
Per ANIA è infine sconsolante il confronto con le principali esperienze estere. In molti paesi, tra i quali Usa, Gran Bretagna, Francia, Nuova Zelanda e Irlanda, riforme organiche in materia sono state decise tra il 2000 ed il 2003 ed il fenomeno della medical malpractice non rappresenta più un’emergenza.
Dossier ANIA “Malpractice, il grande caos”
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