Opinione della Settimana

Compagnie assicurative: Derivati Otc, leva contro i rischi ma più garanzie con le nuove norme

Investimenti - Derivati Imc

(Autore: Mariano Mangia – Repubblica Affari & Finanza)

I gruppi assicurativi mondiali stanno spingendo sull’uso di questi strumenti finanziari e hanno in programma di incrementare il ricorso. Ma ora devono fare fronte al sistema di compensazione introdotto dalle normative Usa e Ue: Dodd-Frank e EMIR. L’analisi di BNY Mellon

Cresce il numero di compagnie che vede la riforma dei derivati Otc come un’opportunità per generare reddito aggiuntivo. Il 35% dei gruppi mondiali, infatti, è pronta ad aumentare il ricorso a strumenti finanziari derivati, mentre l’81% già li usa, come controllo dei rischi. Ma le compagnie assicurative hanno ancora molto lavoro da fare in vista del passaggio al sistema di compensazione dei derivati Otc, quelli negoziati al di fuori di mercati regolamentati, con una controparte centralizzata. E’ la conclusione del terzo Insurance Risk – Collateral Management Survey, l’indagine condotta da BNY Mellon interpellando 111 compagnie, rappresentative di un campione con quasi 10mila miliardi di dollari di attivi. Il nuovo regime è stato introdotto dalla normativa Dodd-Frank negli Usa, già operativa, e in Europa dalla EMIR – European Market Infrastructure Regulation – che entrerà in vigore il prossimo anno.

Le nuove norme prevedono che le imprese dovranno procedere a compensazione presso una controparte centrale e dovranno anche versare (a garanzia) un margine iniziale e un margine di variazione, il primo potrà essere costituito da cash o titoli sovrani, il secondo esclusivamente da liquidità. Cosa è emerso dal sondaggio? Per cominciare, il numero di compagnie che dichiarano di aver compreso le implicazioni del passaggio a una compensazione centralizzata è in calo: in Europa risponde affermativamente solo il 29% degli intervistati; quasi un quarto del campione di compagnie europee non ha ancora effettuato una valutazione dell’impatto della nuova normativa e c’è anche una significativa componente degli intervistati, il 18%, che non ritiene che la propria attività ne verrà influenzata. Resta bassa, poi, la percentuale di assicuratori che si dice fiduciosa di disporre di sufficienti attività di qualità per soddisfare gli obblighi relativi alle garanzie collaterali. In questa edizione del sondaggio ne è convinto il 42% degli intervistati, era solo il 27% un anno fa, ma c’è da segnalare un 49% che la pensa in maniera completamente opposta. Gli estensori della ricerca ritengono che, a far crescere la percentuale di ottimisti, sia stata probabilmente un’analisi più approfondita condotta dagli assicuratori, ma che abbia influito anche la più affannosa ricerca di fonti di rendimento in questo scenario di bassi tassi. Si nota, però, una forte differenza nelle risposte tra gli intervistati europei e quelli nordamericani. Tra i primi, gli ottimisti corrispondono al 39% e i pessimisti a poco meno del 50%, negli Usa le percentuali sono, rispettivamente, del 29% e del 57%, un divario che riflette probabilmente la maggiore proporzione di debito sovrano nei portafogli degli inter vistati europei, siamo al 29%, rispetto a quanto avviene negli Usa, dove la presenza di titoli di Stato si ferma al 17%.

Quanto all’utilizzo dello strumento al centro delle nuove normative, i derivati, il 38,5% degli intervistati ha dichiarato di aspettarsi un suo maggior impiego e questo dato segna una marcata inversione di tendenza rispetto al sondaggio dell’anno precedente, quando solo il 29% degli interpellati aveva segnalato questa intenzione, mentre nel 2012 a rispondere affermativamente era stato la metà del campione. Derivati utilizzati prevalentemente (81%) per la copertura dei rischi da tassi d’interesse; resta elevato, 67%, ma in calo, il loro impiego per coprire il rischio di cambio. Il rapporto consente anche di avere un quadro aggiornato delle scelte di asset allocation dei portafogli di investimento delle compagnie assicurative. In realtà non emergono grandi cambiamenti: continuano aprevalere gli investimenti obbligazionari, il 32% dei portafogli è investito in titoli sovrani, il 26% in obbligazioni societarie, si registra un lieve aumento della quantità di azioni, la liquidità si aggira intorno al 10%. Quella che è cambiata è la “qualità” del portafoglio obbligazionario: rispetto al 2012, le compagnie hanno decisamente incrementato le posizioni in titoli con il rating più alto, la tripla A, e ridotto l’esposizione su titoli societari con rating con singola A.

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