Il Presidente dell’Associazione dei Fondi Negoziali Michele Tronconi davanti alla Commissione Parlamentare di Controllo sull’attività degli Enti gestori di forme obbligatorie di previdenza ed assistenza sociale: la portabilità automatica del contributo del datore di lavoro verso altre forme di previdenza complementare scatenerà una “guerra fratricida” a scapito delle adesioni complessive. Il rischio di minori afflussi a causa delle possibili uscite spingerà i gestori del risparmio previdenziale verso investimenti a breve termine, l’opposto di quanto dovrebbero fare i fondi pensione nell’interesse dei lavoratori. Le risorse pro-capite destinate alle prestazioni future crescono molto di più nei fondi negoziali che nei fondi aperti e nei piani assicurativi
Assofondipensione, l’associazione che riunisce i fondi pensione negoziali cui sono iscritti oltre due milioni di lavoratori dipendenti, confida che Disegno di Legge sulla Concorrenza varato dal Governo il 20 febbraio scorso “possa essere adeguatamente emendato, se non stralciato nei punti di maggiore criticità e incoerenza con il sistema previdenziale complessivo”. Lo ha affermato questa mattina a Roma il Presidente dell’Associazione, Michele Tronconi (nella foto, di Technofashion), nel corso dell’audizione di Assofondipensione davanti alla Commissione Parlamentare di Controllo sull’attività degli Enti gestori di forme obbligatorie di previdenza ed assistenza sociale.
Secondo Assofondipensione il provvedimento (che prevede la possibilità di trasferire automaticamente a un’altra forma pensionistica complementare il contributo che il datore di lavoro versa al fondo pensione negoziale cui è iscritto il dipendente) sminuisce il ruolo dei fondi pensione negoziali, incentivando fondi pensione aperti e piani individuali di previdenza (PiP) delle assicurazioni “a trasformare gli aderenti ai nostri fondi – ha detto Tronconi di fronte ai Parlamentari della Commissione di Controllo – in una sorta di terreno di caccia preferenziale”.
I lavoratori, ha spiegato il presidente di Assofondipensione, sarebbero incentivati a transitare nei fondi negoziali “solo al fine di acquisire il diritto al contributo del datore di lavoro, mentre i fondi aperti e i PiP sarebbero incentivati a preferire (e ricercare) questa tipologia di clienti che si portano in dote il contributo pagato dalle aziende”. In questo modo, secondo l’associazione, non si crea sana concorrenza, bensì una guerra “fratricida”: la corsa ai già iscritti avrebbe un effetto a somma zero e andrebbe a scapito delle adesioni complessive alla previdenza integrativa. Senza contare che la discontinuità dei flussi finanziari a favore del singolo fondo pensione, proprio in ragione di possibili uscite per trasferimenti verso altre forme di previdenza complementare, “spingerà la gestione del risparmio previdenziale – ha affermato Tronconi – verso le asset class più liquide con ottiche di breve termine, l’opposto del rafforzamento dei fondi pensione quali investitori di lungo periodo nell’interesse del lavoratore”.
Il Presidente di Assofondipensione ha anche ricordato gli ottimi rendimenti medi delle gestioni della previdenza complementare: a fronte di una rivalutazione del Tfr al minimo storico dell’1,3%, nel 2014 i fondi pensione negoziali hanno reso il 7,3%, i PiP il 7,2% e i fondi aperti il 7,5%. E riguardo alla staticità delle adesioni ai fondi pensione negoziali, “penalizzati dalla crisi economica che produce disoccupazione e carriere lavorative intermittenti mentre le forme individuali – in particolare i PiP spinti dalle reti di vendita delle assicurazioni – aumentano le sottoscrizioni”, Tronconi ha portato all’attenzione della Commissione un dato ritenuto significativo: se si considera la cosiddetta “posizione media capitaria”, ottenuta dividendo il saldo delle risorse destinate alle future prestazioni per il numero degli aderenti, si scopre – ha evidenziato il Presidente di Assofondipensione – “un andamento ben diverso rispetto al volume delle adesioni”: per i fondi negoziali è cresciuta nell’ultimo anno del 15,3%, per i fondi aperti dell’8,9% e per i PiP soltanto del 5,4%; a dimostrazione “della maggiore regolarità contributiva dei fondi negoziali”, sostenuti dal contributo del datore di lavoro, mentre negli altri casi sospensioni dei versamenti e richieste di anticipazioni sono più frequenti. “Non è vero quindi – ha sostenuto Tronconi – che le forme di previdenza complementare gestite dal mondo assicurativo e bancario siano più attraenti e più efficienti”.
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