(Autore: Adriano Bonafede – Repubblica Affari & Finanza)
Intervista al presidente dell’IVASS e direttore generale della Banca d’Italia: “Resta il problema della valutazione sulla rischiosità dei titoli di Stato italiani”
«Al momento non vediamo problemi per i grandi gruppi assicurativi italiani, che secondo i parametri patrimoniali di Solvency I stanno bene. Cosa succederà con Solvency II nel 2016 lo vedremo, anche perché nell’Eiopa (l’autorità europea di vigilanza nel cui board l’Italia ha un membro, il Consigliere Corinti, ndr) è ancora in atto una discussione, in particolare sulla valutazione della rischiosità dei titoli di Stato nei cosiddetti modelli interni». Salvatore Rossi (nella foto, di Studio Franceschin), presidente dell’Ivass e direttore generale della Banca d’Italia, è molto cauto. Le compagnie italiane, soprattutto le più grandi, non hanno problemi di adeguatezza patrimoniale ma molto dipenderà dalle risoluzioni che nel corso dell’anno saranno prese in Europa.
Dottor Rossi, insomma Solvency II è ancora un’incognita per le compagnie italiane. Nel senso che non c’è alcuna certezza che non siano necessarie ripatrimonializzazioni.
«Sono fiducioso che anche nel passaggio da Solvency I a II le compagnie italiane possano dimostrarsi solide e ben capitalizzate. Ma non nascondiamoci che il passaggio è davvero epocale. A parte la questione della valutazione dei titoli di Stato, su cui l’Eiopa dovrebbe darci linee-guida in questi giorni, dobbiamo considerare che stiamo per entrare in un periodo di radicale metamorfosi non solo dell’assetto regolatorio ma anche delle linee gestionali delle imprese».
E questo che significa, in concreto?
«Le compagnie dovranno, con anni di ritardo rispetto alle banche, misurarsi con i propri specifici profili di rischio, che fino ad oggi non erano rilevati con metodi comuni e non erano comunque legati ai requisiti patrimoniali. Con Solvency II ogni compagnia avrà il proprio profilo di rischio, articolato in una lunga serie di voci e sottovoci. E, in dipendenza di questo profilo, si dedurrà il requisito di capitale».
Chi misurerà questi profili di rischio? L’Ivass?
«Dovranno misurarlo le aziende stesse, in un uno sforzo di autovalutazione che comunque, ovviamente, dovrà essere vagliato dall’Ivass».
Esisterà un unico modo per pervenire al profilo di rischio?
«No, ci sono tre modalità per farlo. Una, la più sofisticata, si chiama “modello interno”. Presenta il maggior grado di personalizzazione del profilo di rischio e, in parallelo, di complessità: parliamo di migliaia di pagine di documentazione, illustrazioni e formule. Una seconda modalità, un po’ meno complessa, si chiama “parametro specifico d’impresa”. Una terza, la più semplice, è la cosiddetta “formula standard”. Ma anche quest’ultima resta comunque assai complicata».
Sembra di capire che la prima cosa che sta facendo Solvency II sia di aumentare i costi per le compagnie di assicurazione…
«Indubbiamente ci sarà un aumento del lavoro, che soprattutto le imprese più piccole avranno difficoltà ad affrontare, ma occorre considerare anche i benefici attesi dal nuovo regime, non solo in termini di rispondenza del requisito patrimoniale al profilo di rischio, ma anche sotto il profilo della governance delle imprese e della trasparenza verso il mercato. Ma c’è un’altra preoccupazione, e riguarda noi».
L’Ivass?
«Sì, perché mentre le grandi compagnie possono schierare, pur pagandone il costo, eserciti di esperti per mettere a punto i modelli di autovalutazione del rischio, l’Ivass ha soltanto 350 persone, e non tutte possono essere abilitate a validare i modelli delle compagnie. Insomma, per l’Ivass è una sfida considerevole».
Prima dell’introduzione di Solvency II, e quindi nel corso di quest’anno, le compagnie saranno chiamate a svolgere uno stress test come a suo tempo fecero le banche?
«No, non sono previsti altri stress test nel 2015 dopo quello del 2014, preparatorio al percorso verso il nuovo regime di vigilanza».
E che cosa ne è emerso? Quali le compagnie più esposte al rischio e quali meno?
«In sede Eiopa fu deciso, dato il carattere sperimentale dell’esercizio del 2014, di diffondere soltanto i dati generali, non anche quelli delle singole compagnie».
Ma voi sapete com’è andata. Sono emerse delle criticità a livello di singole imprese italiane?
«Francamente non abbiamo visto accendersi delle spie».
I bassi tassi d’interesse hanno già prodotto effetti negativi sulla redditività delle banche italiane. Per le compagnie si pone un problema andlogo, considerando anche che buona parte delle polizze vita hanno una garanzia di rendimento minimo?
«Proprio lo stress test ha mostrato come il sistema italiano possa resistere meglio della media europea a una prolungata fase di bassi tassi di interesse, grazie a un miglior equilibrio di bilancio fra impegni nei confronti della clientela e investimenti, sia nelle scadenze sia nei rendimenti. Naturalmente è un tema che continueremo a monitorare con molta attenzione».
Però questa storia dei Btp preoccupa ancora molti. Le assicurazioni sono piene di Btp, intorno ai 250 miliardi. Se si decidesse che occorre tener conto del maggiore rischio che questi titoli di Stato incorporano rispetto ad altri, ad esempio quelli tedeschi, le compagnie italiane potrebbero essere costrette a cambiare la loro politica di investimento o a rafforzarsi patrimonialmente. Qual è l’orientamento in Europa?
«Con Solvency I il problema non si poneva, perché i titoli di Stato venivano considerati per definizione a rischio nullo. Il dibattito in corso in Europa riproduce per le assicurazioni quello che già vediamo per le banche. Alcuni paesi insistono per considerare rischiosi i titoli di Stato. Lo stesso confronto di opinioni che si è già visto fra gli organi di vigilanza bancaria europea si ripete per le assicurazioni».
Quali titoli sarebbero più rischiosi, secondo questa visione?
«Quelli che, come gli italiani, con la crisi hanno avuto forti oscillazioni».
E qual è la vostra posizione?
«Noi abbiamo sempre tenuto una posizione molto cauta e analiticamente motivata. Di certo non è nostra intenzione fare i difensori d’ufficio della politica fiscale italiana, che non ne ha bisogno. Noi poniamo una questione di principio, tecnica: è fuorviante, e produce instabilità, imbarcare in un assetto di regole generali l’enorme volatilità che si è vista soltanto in due anni. Tanto più che la volatilità è dipesa sostanzialmente da un fattore esogeno che attiene alla sfera geopolitica…».
Cioè?
«I mercati speculavano chiaramente sulla disintegrazione dell’euro. E’ bastato il whatever it takes del presidente Draghi per mettere fine a queste speculazioni. Sarebbe sbagliato introdurre queste oscillazioni in un sistema di regole».
Dottor Rossi, i primi cinque gruppi assicurativi hanno il 75% del mercato. Non è troppo?
«Indubbiamente la concentrazione del mercato assicurativo è forte, considerando che le prime cinque banche hanno invece in ltalia soltanto il 50 percento del loro mercato».
Le tariffe Rc auto, si lamentano le associazioni dei consumatori, aumentano sempre…
«Gli aumenti in passato apparivano spesso non generalizzati ma a macchia di leopardo. Tuttavia a livello di sistema nel 2014 c’è stata una sensibile diminuzione media, pari al 7%. L’lvass ha ora costituito una banca dati sull’andamento dei prezzi effettivi, Iper, e finalmente non c’è più il balletto delle cifre…».
In che senso?
«Iper (realizzata sotto il coordinamento del Consigliere prof. Cesari) consente di rilevare capillarmente, provincia per provincia, i prezzi che vengono effettivamente applicati, compresi gli sconti, nelle polizze».
È stata notata qualche anomalia?
«La banca dati ci ha fornito la conferma che nelle province ad alta sinistrosità (nel sud, soprattutto, ndr) i prezzi sono più alti, e fin qui il risultato era atteso. Ciò che invece ci ha meravigliati è stato osservare come in queste province ci sia poca “variabilità”: ovvero pagano prezzi alti tutti gli assicurati, anche quelli che magari non hanno mai avuto un incidente. Inoltre proprio in queste province la concentrazione delle compagnie è superiore: ci sono poche imprese che sembrano essersi specializzate nello stare in questi mercati più rischiosi».