(di Roberto E. Bagnoli – Iomiassicuro.it)
Arriva la norma che protegge le future pensioni dagli effetti della crisi economica. Il decreto legge che recepisce gli effetti della sentenza costituzionale relativa alla mancata perequazione dei trattamenti pensionistici superiori a tre volte il minimo è intervenuto anche per risolvere l’anomalia creatasi sui coefficienti negativi di capitalizzazione del montante contributivo, che servono per calcolare la pensione. Vediamo di spiegarci meglio.
Colpiti i giovani. La questione interessa da vicino soprattutto i giovani, ossia coloro che hanno cominciato a lavorare dopo il 31 dicembre 1995, la cui pensione sarà calcolata con il nuovo criterio “contributivo”. Il meccanismo è abbastanza semplice. I parametri di riferimento sono tre: la retribuzione, la cosiddetta aliquota di computo e il coefficiente di trasformazione del montante contributivo. In pratica, con il versamento dei contributi il lavoratore accantona il 33% (aliquota di computo dei dipendenti) della retribuzione. Questo avviene mese per mese, anno per anno, andando a formare il cosiddetto “montante”, soggetto a rivalutazione annuale sulla base della dinamica quinquennale del Pil (il prodotto interno lordo) nominale. Qui si nasconde la “trappola”. Il Pil, infatti, non è l’Istat che misura il potere di acquisto, ma la capacità del paese di far girare l’economia. Quando questa capacità scarseggia, come è avvenuto negli ultimi anni per via della crisi, anche il Pil non cresce, comportando, di conseguenza, una scarsa rivalutazione (guadagno) dei contributi accumulati presso l’Inps.
Pil negativo. L’ultimo dato fornito dall’Istat riguarda i contributi accantonati nel 2013. Per la prima volta da quando è stato introdotto (con la riforma Dini) il metodo di calcolo contributivo, la “rivalutazione” del Pil presenta un tasso negativo: -0,998073. Questo (in teoria) significa che chi nel 2013, guadagnando 20 mila euro, ha versato 6.600 euro di contributi (33%) se era un dipendente, ovvero 4.350 euro (21,75%) se era commerciante o artigiano, oppure 5.600 euro (28% ) se era un Co.co.pro, oggi nel proprio salvadanaio Inps si troverebbe rispettivamente 6.588 euro (12 euro in meno), 4.342 euro (8 euro in meno) e 5.590 euro (10 euro in meno). In altre parole, per la dote contributiva accumulata fino al 2013, a causa del periodo di forte recessione, il coefficiente di rivalutazione avrebbe assunto valori negativi. A distanza di vent’anni, quindi, il Governo è dovuto intervenire per porre rimedio a una situazione (il valore negativo) non considerata dalla norma originaria. L’Inps, già a novembre (con il commissario straordinario Tiziano Treu), aveva dichiarato che, salvo indicazione contraria, non avrebbe svalutato i montanti, ma si sarebbe limitato a confermare quello già accumulato. Cosa che appunto è avvenuta con il decreto legge 65 del 2015: d’ora in poi, dunque, il coefficiente di rivalutazione del montante contributivo non può, in ogni caso, essere inferiore a uno.