(di Giuseppe Argentino e Marco lo Conte – Il Sole 24 Ore)
Al via l’opzione per incassare ogni mese la propria «liquidazione». La scelta non è revocabile
Il quesito
Ho sentito che prossimamente potrò incassare il mio Tfr in busta paga: nella mia situazione economica la cosa potrebbe farmi gioco, anche perché mia moglie è in cassa integrazione a zero ore e non navighiamo nell’oro…
Tra l’altro io ho aderito al fondo pensione della mia categoria (Cometa, per i metalmeccanici): cosa accade in questo caso?
Fino al 30 giugno 2018, i lavoratori dipendenti del settore privato, occupati da almeno 6 mesi presso un’azienda, possono chiedere, in qualsiasi momento, che l’importo equivalente al Tfr sia inserito mensilmente in busta paga, assumendo la denominazione di «Quota integrativa della retribuzione» (Quir). Sono esclusi colf, badanti, lavoratori agricoli, dipendenti da aziende sottoposte a procedure concorsuali o dichiarate in crisi e i pubblici dipendenti.
Sono inoltre esclusi dalla Quir anche i lavoratori in cassa integrazione straordinaria e in deroga, i dipendenti per i quali è prevista la corresponsione periodica del Tfr, o il suo accantonamento presso soggetti terzi e infine i dipendenti da aziende che abbiano iscritto nel “Registro delle imprese” un accordo di ristrutturazione dei debiti, o un piano di risanamento attestato dalla legge fallimentare: nel caso in cui, dopo avere optato per la Quir si verifichi anche uno solo degli eventi sopra esposti, la sua erogazione è interrotta.
L’opzione “Quir” è possibile anche per i lavoratori che abbiano già scelto di destinare il Tfr a un fondo complementare: in tal caso è però possibile versare al fondo la “contribuzione aggiuntiva” personale, con l’obbligo per il datore di lavoro, se previsto dal contratto, di versare al fondo stesso la contribuzione aggiuntiva a suo carico. La scelta della “Quir”, che è irrevocabile fino al 30 giugno 2018, non è soggetta a contributi previdenziali, mentre è assoggettata a tassazione ordinaria, pur non rilevando ai fini del computo del reddito da considerare per ottenere il “bonus” Irpef da 80 euro. L’aumento che deriva in busta paga determina comunque l’aumento del reddito complessivo, e incide sul calcolo delle detrazioni fiscali, compresi i familiari a carico, ma anche sulle addizionali Irpef comunali e regionali, e perfino sul calcolo dell’Isee.
Al momento della richiesta, i lavoratori sono tenuti a notificare al datore di lavoro la eventuale disposizione del Tfr a garanzia di contratti di finanziamento: in tal caso non è possibile optare per la Quir finché il soggetto finanziante notifica all’azienda l’estinzione del debito da parte del lavoratore. Per i dipendenti da aziende con almeno 50 addetti, la Quir è erogata dal mese successivo a quello di presentazione della domanda, mentre per i dipendenti da aziende con meno 50 addetti, l’erogazione avviene dal terzo mese successivo a quello di presentazione della domanda. Con la possibilità di inserire il Tfr in busta paga, i lavoratori sono messi nelle condizioni di scegliere “l’uovo oggi o la gallina domani”: il Tfr, infatti, è un accantonamento di denaro nel tempo, sia che venga gestito come Tfr vero e proprio, sia che venga destinato a previdenza complementare.
È quindi bene, prima di scegliere, verifìcare opportunità e convenienze mediante alcuni calcoli, considerando che la somma di Tfr inserita in busta paga viene tassata con aliquota ordinaria, mentre la somma accantonata in azienda sarà soggetta a tassazione separata e infine la quota destinata a previdenza complementare è soggetta a imposta sostitutiva nella misura del 15%, che può ridursi se si rimane iscritti a un fondo pensione per più di 15 anni. Ipotizziamo dunque un lavoratore dipendente con una retribuzione lorda annua di 25.000 euro: in questo caso la somma da accantonare a titolo di Tfr, pari al 6,91% della retribuzione, sarà pari a euro 1.727,50. A quanto ammonterebbero le somme complessive nette che il lavoratore potrebbe incassare, ipotizzando un periodo di 3 anni, a seconda che il lavoratore scelga di destinare il Tfr in busta paga, di lasciarlo in azienda, o di destinarlo ad un fondo pensione?
Vediamo di seguito i calcoli delle diverse ipotesi, tenendo presente che nel 2° e nel 3° caso, il calcolo è operato per difetto perché non tiene conto delle rivalutazioni che normalmente si producono sulle somme accantonate:
- 1° caso: Tfr in busta paga. Tassazione ordinaria: 27% (euro 466,43). Netto annuo: euro 1.727,50 – euro 466,43= euro 1.261,07. Netto in 3 anni: euro 1.261.07 X 3= 3.783,23;
- 2° caso: Tfr accantonato in azienda. Tassazione separata ipotizzata: 24,10%, (euro 416,33). Netto annuo: euro 1.727,50 – euro 416,33= euro 1.311,17. Netto in 3 anni: euro 1.311.17 x 3= euro 3.933,51;
- 3° caso: Tfr accantonato in un Fondo complementare. Imposta sostitutiva: 15% (259,13). Netto annuo: euro 1.727,50 – euro 259,13= euro 1.468,37. Netto in 3 anni: euro 1.468.37 x 3= euro 4.405,11.
Di fronte all’imbarazzo delle scelte è opportuno che i lavoratori operino scelte consapevoli, tenendo presente che se proprio si può fare a meno “dell’uovo oggi”, pare sia meglio contare sulla “gallina domani”.