(di Giovanni Negri – Quotidiano del Diritto)
Invalido il contratto finanziario con elevati profili di rischio presentato come piano pensionistico complementare. Riconosciuto il conflitto con i principi costituzionali di protezione del risparmio
Un prodotto finanziario a rischio non può essere presentato o proposto da una banca come piano pensionistico integrativo. Tanto più se non ne viene chiarita la reale natura e, anzi, ne viene sottolineata la possibilità di disinvestimento in ogni momento e senza oneri. Questa la conclusione della Corte di cassazione che, con la sentenza n. 19559 della sesta sezione civile, ha respinto il ricorso presentato da un istituto di credito contro la pronuncia della Corte di appello di Napoli che aveva accolto le richieste di un cliente per l’invalidità del contratto di piano finanziario «4 You». Piano che consisteva nell’acquisto di obbligazioni e nella sottoscrizione di fondi comuni d’investimento affidati alla gestione della mutuante per effetto di un finanziamento concesso contrattualmente dalla stessa banca.
Tra argomentazioni a sostegno dell’impugnazione aveva fatto valere precedenti della stessa Corte che avevano ritenuto meritevoli di tutela anche contratti anomali di finanziamento accostabili a quello contestato. Ragioni che però la Cassazione ritiene ora prive di fondamento, anche nei riferimenti giurisprudenziali. Perchè, in questo caso, a fare la differenza è la presentazione dell’intera operazione in termini di piano di previdenza integrativa.
E allora a venire in primo piano sono piuttosto principi fondamentali dell’ordinamento come quelli dell’articolo 47 della Costituzione sulla tutela del risparmio e l’articolo 38 quanto all’incoraggiamento delle forme di previdenza anche privata. La combinazione dei due principi fondamentali impone allora un ripensamento, necessario «in un contesto storico quale quello in cui l’operazione per cui oggi è causa è stata portata avanti, notoriamente caratterizzato dalla presa di coscienza della potenziale insufficienza del solo sistema pubblico e dall’adozione di una serie di misure, legislative e non, ad incoraggiamento e tutela delle forme complementari di previdenza».
È vero che era prevista dal contratto una forma di recesso a tutela del cliente, ma, a ben vedere, sottolinea la sentenza, a prevalere su questa facoltà era l’unilateralità delle scelte gestionali da parte della banca sulla composizione dei fondi di investimento. Recesso poi solo parziale perchè ammesso dal solo piano finanziario e non, invece, anche dal mutuo. Insomma, a carico del cliente era stato articolato un sistema assai rigido e senza possibilità, per lui, di influenzare le modalità di gestione.
Al cliente veniva poi fatto carico delle oscillazioni del valore di prodotti finanziari ad alto rischio combinato con l’opacità di scelte della banca che potevano avvenire anche in conflitto d’interesse. Banca che, dal pericolo di insolvenza, era invece garantita da tutto il patrimonio del cliente e non soltanto dal pegno sui titoli; così, contro il rischio della loro bassa o anche nulla redditività o a essere convertiti in denaro liquido, l’istituto di credito si era in ampia misura “coperto le spalle”.
La combinazione dei segmenti che costituiscono l’operazione finisce allora, nella lettura della Cassazione, per attribuire alla banca, mentre il cliente restava convinto di avere assunto ragionevoli prospettive di investimento per la realizzazione di un piano di previdenza integrativa, il vantaggio della garanzia generale patrimoniale del cliente su quei titoli che lei stessa può avere individuato, soprattutto se in conflitto d’interessi ne se in concreto destinati a esiti finanziari rovinosi.
Inevitabile allora la conclusione dei giudici che ritengono non meritevole di tutela un contratto atipico come quello in questione, che, di fatto, metteva a carico del sottoscrittore tutto il rischio d’impresa.