Opinione della Settimana

“Banca Generali crescerà ancora, anche in Borsa”

Piermario Motta (5) Imc

(di Francesco Spini – La Stampa Tuttosoldi)

L’ad Motta: cresceremo ancora a doppia cifra, anche a Piazza Affari. E per le acquisizioni guardiamo la rete italiana del Santander

Con i 166,1 milioni di euro di utili portati a casa nei primi nove mesi dell’anno, Banca Generali ha «già superato quanto abbiamo realizzato nell’intero 2014, l’anno migliore della nostra storia», dice l’amministratore delegato dell’istituto, Piermario Motta (nella foto). Il manager, ora, punta a nuovi record visto che, spiega, «l’ultima parte dell’anno si prospetta molto brillante».

Dottor Motta, cosa ha condotto a questi risultati?  

«Abbiamo fatto un notevole salto dimensionale. Siamo passati dai 25 miliardi di masse gestite del 2012, ai 36 di fine 2014, a settembre eravamo sopra 39 miliardi e a fine ottobre siamo già a 40 miliardi. La base di ricavi ricorrenti è cresciuta in maniera significativa».

Il mercato vi ha aiutato?  

«L’andamento favorevole della prima parte dell’anno ci ha fatto beneficiare di commissioni di performance superiori alla media storica, così come l’espansione del core business nella raccolta. Questo ha compensato un margine di interesse in calo».

Qual è l’obiettivo di qui a 5 anni?  

«La banca ha un potenziale di crescita endogena di 3 miliardi l’anno di masse gestite, senza contare eventuali operazioni straordinarie. Direi che tra 50 e 55 miliardi è un obiettivo lineare rispetto a quanto fatto negli ultimi 4 anni, in uno scenario simile a quello attuale».

Come è cambiata la strategia da che lei è arrivato in banca?  

«Dieci anni fa la nostra era una realtà “mass market” con 2200 promotori con portafogli medi medio-bassi. Abbiamo deciso di virare verso il segmento “private”, accompagnando verso l’uscita oltre 1200 promotori con portafogli marginali, sotto i 2-3 milioni. Li abbiamo sostituiti con circa 800 colleghi provenienti dalle principali reti “private”. Il nuovo mix di asset ci vede leader con oltre 22 milioni di portafoglio pro capite, ma soprattutto con una connotazione che ci vede sulla fascia di clientela superiore».

Siete una banca per super ricchi?  

«Al contrario siamo in grado di replicare un servizio “private” non solo a clienti da 2 o 3 milioni di euro, ma anche a chi ha patrimoni ben inferiori».

Qual è il «taglio» minimo per bussare da voi?  

«Partiamo da circa 100 mila euro circa per avere un minimo di diversificazione. La forza della nostra consulenza la si è vista proprio nell’ultimo trimestre in cui abbiamo avuto crolli in Cina, tensioni su Brasile e Turchia, il caos per la Volkswagen e un mercato giù del 10%. Noi abbiamo raccolto 780 milioni, senza perdere clientela. Chi ha venduto spinto dal panico ha fatto un bagno di sangue, i nostri clienti hanno potuto recuperare con il rimbalzo dell’ultimo mese».

Come si sta sviluppando il vostro business?  

«La nostra piattaforma di fondi include 40 case partner che gestiscono oltre 50 comparti di fondi di fondi delle più svariate tipologie. Due anni fa abbiamo lanciato una polizza unit linked con 100 comparti».

E per il futuro?  

«L’anno prossimo lanceremo nuove gestioni patrimoniali innovative. Svilupperemo molto gli investimenti alternativi in collaborazione con Lyxor, Merrill Lynch, Morgan Stanley e Goldman Sachs. Abbiamo una piattaforma per la gestione legata al mondo immobiliare. Siamo poi in grado – affiancati da PricewaterhouseCoopers – di supportare piccoli e medi imprenditori in operazioni di fusioni e acquisizioni e in tutte le problematiche legate al passaggio generazionale. Seguiamo anche i temi successori che si aggiungono al family office e al credito garantito».

Avete acquisizioni in vista?  

«Da sempre valutiamo tutte le opportunità. Il nostro interesse però oggi si focalizza sulle piccole banche “private” che da sole hanno masse insufficienti per essere profittevoli».

Esempi?  

«In passato abbiamo guardato Banca Cesare Ponti per poi fare scelte diverse. Ora ci sono dossier come quello delle attività “private” italiane del Santander, realtà che stiamo guardando in molti. Infine c’è un fronte aperto sulle fiduciarie, da aggregare alla nostra Generfid».

Come proseguirà la vostra politica in tema di dividendi?  

«Siamo sempre stati generosi nelle cedole. Per non depauperare i nostri indicatori patrimoniali che sono molto buoni, ritengo che le stime degli analisti intorno a 120 milioni, pari al 70% dei profitti, siano sostenibili. Molto dipenderà dalle decisioni della capogruppo».

Le Generali hanno venduto il 12% della banca. Crede che Trieste scenderà ancora?  

«Arriviamo da un +250% in Borsa negli ultimi 5 anni, da gennaio il titolo guadagna oltre il 25%, abbiamo pagato un dividendo del 4%. Credo sia difficile per le Generali trovare partecipazioni che diano un ritorno stabile in termini di dividendo come il nostro o che si rivalutino con percentuali così rilevanti. Forse non con la forza degli anni passati, ma per dividendo e solidità del business credo che Banca Generali possa continuare a crescere a doppia cifra, anche a Piazza Affari».

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