(di Luca Davi e Marco Ferrando – Il Sole 24 Ore)
Mediobanca e JP Morgan advisor del progetto per l’asset management company che mira a farsi carico di circa 100 miliardi di non performing loans. L’ipotesi che la società pubblica possa garantire le emissioni senior emesse dal «veicolo»
Due nuovi advisor (Mediobanca e Jp Morgan), che si vanno ad affiancare a quello nominato nei mesi scorsi (Boston Consulting group). Sace (nella foto, la sede), chiamata a prestare le garanzie sulle obbligazioni senior che copriranno oltre la metà del funding del veicolo. E una capacità di fuoco che mira a farsi carico di circa 100 miliardi di non performing loans (al lordo delle svalutazioni). Sembra ormai prendere definitivamente forma il progetto per l’Asset management company destinata ad alleggerire le banche italiane di una parte consistente dei crediti deteriorati, considerata (quasi) unanimemente condizione essenziale per un’accelerazione degli impieghi, beneficiando fino in fondo dei tassi bassi.
Il cantiere procede da tempo, forse anche troppo. Perché non perda interesse e credibilità, c’è da chiudere in fretta. Non a caso, «nel corso delle prossime settimane la fattibilità del progetto verrà definitivamente accertata», aveva detto mercoledì scorso il governatore di Bankitalia Ignazio Visco alla Giornata del risparmio. E, secondo quanto risulta a Il Sole 24 Ore, mesi di confronto tra il Mef, la Commissione europea, gli investitori e le banche sembrano aver portato a un’ipotesi di lavoro definitiva che dovrebbe scongiurare l’aiuto di Stato ma ciononondimeno consentire alle banche di vendere più npl di quelli attuali e soprattutto a condizioni considerate meno “aggressive” di quelle oggi offerte dagli operatori specializzati. Che in Italia comprano, sì, ma non abbastanza, se è vero che tra il 2012 e il 2014, come ha ricordato Visco, le banche italiane hanno ceduto o cartolarizzato appena 11 miliardi di euro di npl, appena il 2% della montagna di sofferenze che si trovano in pancia. Una montagna, secondo le ultime stime Cerved, che potrebbe continuerà a crescere fino al 2020. Le recenti riforme introdotte dal Governo sulle procedure fallimentari potrebbero – se la reazione del sistema sarà adeguata e la congiuntura dovesse reggere – avvicinare il turning point al 2018-2019, ma in ogni caso senza un intervento straordinario per almeno altri tre anni la zavorra è destinata a pesare sempre di più sui bilanci delle banche. Con inevitabili ripercussioni sul nuovo credito, perché le sofferenze chiedono capitale di copertura e scoraggiano le nuove erogazioni. Di qui, appunto, la richiesta pressante delle banche, ora anche dei sindacati, e la determinazione del governo, con il ministro Pier Carlo Padoan che ancora due settimane fa, ospite del Sole 24 Ore, ha detto che «il processo sta convergendo verso una soluzione» e che «bisogna far partire un mercato con degli algoritmi che riproducano il mercato almeno nella fase iniziale».
La deadline, dunque, è per fine anno. E così, secondo quanto risulta a Il Sole 24 Ore, il team del Mef che lavora in stretto in contatto con Cdp, Banca d’Italia (e l’Abi), nelle settimane scorse si è dotato di altri due advisor che si vanno unire a Bcg, già in carica da inizio anno. Sono Mediobanca e Jp Morgan, a cui sarebbe stato assegnato il compito, in attesa di formalizzare il mandato, di fornire un contributo interno (tecnicalità del veicolo) ma soprattutto esterno, sondando il mercato sull’interesse degli investitori a intervenire sia sull’equity che sul funding: nel mirino Fondazioni, assicurazioni, il mondo della previdenza e quello dei grandi istituzionali esteri, con una propensione per quelli di medio-lungo periodo. Per acquistare fino a 100 miliardi di sofferenze lorde al 30-40% del loro valore nominale, il veicolo necessiterà di 30-40 miliardi: al 30% saranno coperti dall’equity, il 70% dall’emissioni di obbligazioni senior (con un rendimento stimato del 2%) con garanzia pubblica. E a fornirla, secondo fonti di mercato, potrebbe essere Sace, che già oggi ha garanzie in essere su crediti e obbligazioni per 70-80 miliardi, seppure legate a progetti di internazionalizzazione. Un tassello, quest’ultimo, che consentirebbe di avere una garanzia riconducibile allo Stato senza impatto (immediato) sul debito pubblico e validabile da Bruxelles. Sarà così? La Commissione, cui spetta l’ultima parola sull’eventuale aiuto di Stato, la settimana scorsa si è mostrata ancora tiepida, ma uno spiraglio c’è: nelle ultime riunioni tra funzionari sarebbe emerso che questo tipo di garanzia sarebbe soluzione gradita, purché accompagnata da acquisti effettuati a prezzo di mercato, che sarà certificato da operatori terzi indipendenti.
E qui sta l’ultimo punto. Se il prezzo a cui acquisterà l’Amc sarà quello di mercato, che interesse avranno le banche a cedere al veicolo semi-pubblico e non agli operatori specializzati? Una differenza, non irrilevante, ci potrebbe essere. Secondo quanto emerso dalle trattative di queste ultime settimane, infatti, il veicolo – grazie a un costo del funding “calmierato” perchè coperto da garanzia – comprerà a prezzi di mercato, è vero, ma applicherà condizioni meno aggressive di quelle imposte dagli altri operatori sui tempi e le modalità del recupero del sottostante. Questo elemento, unito a una gestione più efficiente dei flussi informativi e al coinvolgimento di investitori di medio-lungo periodo, dovrebbe rendere l’offerta più interessante. E immediatamente disponibile su cifre anche elevate, anche perché dal bilancio 2015 le banche potranno dedurre le perdite sui crediti in un solo anno. Purché, come ha sottolineato ancora Visco nei giorni scorsi, le stesse banche intanto si portino avanti, costituendo bad bank interne con portafogli isolati e omogenei di Npl pronti a essere venduti.