Opinione della Settimana

Polizza forense a maglie strette

Cassazione - Esterno (2) Imc

(di Adelaide Caravaglios – ItaliaOggi Sette)

Cassazione, sentenza sul perimetro di copertura dei danni da parte dell’assicurazione. Il legale deve dimostrare di aver tenuto idonea condotta

La polizza assicurativa non copre tutti i danni derivanti dall’esercizio della professione forense se il legale non dimostra di aver tenuto la condotta debitamente prescritta: lo hanno precisato i giudici della III sezione della Cassazione con la sentenza 23209/2015. Secondo quanto si legge nelle motivazioni l’inadempimento non assume di per sé rilievo assorbente «giacché occorre dare invece evidenza al nesso eziologico tra condotta negligente/imperita e danno, tramite una valutazione positiva, compiuta ex ante (alla luce della regola causale «di funzione» del «più probabile che non»), al fine di dimostrare che a fronte del comportamento dovuto, il cliente avrebbe potuto conseguire il riconoscimento delle proprie ragioni o, comunque, effetti più vantaggiosi».

Il caso sul quale erano stati chiamati ad intervenire gli ermellini verteva sul ricorso che un avvocato, nonostante l’ammissione dell’errore professionale in una causa di pignoramento presso terzi, aveva mosso avverso la propria compagnia assicurativa, per vedersi riconoscere il risarcimento del danno nei confronti di alcuni clienti (difesi ed al contempo danneggiati dallo stesso) in toto e non nella misura pari ad un terzo soltanto delle spese legali: secondo il tribunale adito (e del pari la Corte di appello, che, si legge in sentenza, aveva «valorizzato anzitutto la ratio decidendi della sentenza di primo grado» per la sostanziale carenza di allegazioni), «era mancata, per potersi affermare l’operatività della stipulata polizza assicurativa per la responsabilità civile, la dimostrazione che una diversa attività del difensore avrebbe potuto dar luogo ad una differente e più favorevole decisione per i clienti».

A nulla sono valse le censure del professionista: per il collegio di legittimità (in ciò confermando quanto già statuito in primo e secondo grado) il ricorrente aveva sviluppato doglianze del tutto generiche e non concludenti, una genericità ancora più significativa, spiegano all’uopo, non avendo in alcun modo dimostrato che una sua diversa condotta avrebbe determinato un esito più favorevole per i suoi clienti. Così argomentando hanno quindi rigettato il ricorso.

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