(di Federico Fubini – Corriere della Sera)
I dati statistici: in Germania competenze doppie
Una persona prende in prestito cento euro a un tasso d’interesse del 20%. Quanto tempo ci mette il debito a raddoppiare? Circa quattro anni. E quanti italiani sanno rispondere correttamente a questa domanda? Meno di uno su quattro. Quindi: è più prudente mettere tutti i risparmi su un unico investimento oppure in vari investimenti diversi? Esattamente quattro italiani adulti su dieci hanno la risposta giusta.
Il livello di alfabetizzazione finanziaria viene sempre più spesso misurato, come ha fatto il gruppo statunitense McGraw-Hill con un questionario in 148 Paesi. Il suo rapporto, a cui ha contribuito l’economista italiana della George Washington University Annamaria Lusardi, è uscito il mese scorso. E per la prima volta permette un confronto. Alla prima domanda, quella sul calcolo degli effetti di un tasso d’interesse negli anni, gli italiani hanno fornito la risposta corretta meno spesso degli abitanti del Togo, dell’Uganda, del Ruanda e della Sierra Leone; in Germania la proporzione di risposte giuste è stata quasi doppia rispetto all’Italia. Alla seconda domanda, quella sulla diversificazione degli investimenti, gli intervistati dello Zimbabwe hanno fatto meglio degli italiani (e di nuovo i tedeschi che hanno indovinato sono quasi il doppio).
La differenza è semplice, e incomprensibile: in Togo il reddito per abitante è di circa 450 dollari l’anno, nello Zimbabwe di 475; in Italia la ricchezza finanziaria delle famiglie nel 2013 vale quasi 4.000 miliardi di euro e rappresenta un multiplo del reddito molto più elevato di quanto accada in Germania o in Francia. Uno dei Paesi più dotati di risparmio privato al mondo è uno dei più poveri in educazione e cultura finanziaria.
Suonerà impossibile, ma è un paradosso confermato dalla cronaca di questi giorni. Fra i diecimila che avevano comprato le obbligazioni poi azzerate di Banca Marche, Banca dell’Etruria e del Lazio, Cassa di Risparmio di Ferrara e CariChieti, circa 4.500 erano dipendenti dei quattro istituti. Vivevano là dentro otto ore al giorno. Parlavano con gli altri dipendenti. Avrebbero dovuto conoscere almeno in parte i problemi delle loro aziende, eppure ciò non ha impedito loro di investire negli stessi titoli ad alto rischio e (spesso) basso rendimento che non avrebbero mai dovuto proporre ai clienti.
Dopo la prima cancellazione di un’obbligazione bancaria dal 1921, l’Italia riparte da qua: ha livelli di risparmio da grande Paese, un’apertura ai mercati internazionali degna di un’economia di importanza sistemica per il mondo, ma un livello di cultura finanziaria da nazione africana. I suoi punteggi medi nel sondaggio di McGraw-Hill la collocano nel gruppo del continente a Sud di questo, con probabili differenze regionali: i test sull’istruzione finanziaria condotti da Ocse-Invalsi nel 2012 sugli studenti delle superiori rivelano nel Mezzogiorno, in particolare in Calabria, livelli molto più bassi che al Nord e soprattutto a Nord-Est. Eppure anche le regioni settentrionali sono su livelli relativamente bassi e fra i più giovani l’Italia risulta penultima davanti alla sola Colombia in un campione di 18 Paesi. Caso unico in Occidente, i ragazzi riproducono precisamente gli stessi ritardi di cultura finanziaria dei loro genitori, nonni e zii.
Che la Repubblica italiana incoraggi e tuteli il risparmio in tutte le sue forme resta scritto nell’articolo 47 della Costituzione, ma non nei programmi scolastici e universitari. Annamaria Lusardi, il co-autore del sondaggio McGraw-Hill, lo ricorda per sottolineare un punto: «Non usiamo questi problemi per dare la colpa ai risparmiatori ad ogni scandalo finanziario», dice. Andrea Beltratti della Bocconi, presidente della Fondazione per l’educazione finanziaria, osserva che quest’arretratezza viene da lontano: gli italiani hanno risparmiato per decenni in un sistema chiuso, quindi hanno potuto accumulare ricchezza con gli interessi su strumenti semplici e molto protetti come i titoli di Stato.
Oggi questo molto si è dissolto. Sui singoli lo Stato scarica il dovere di scelte delicatissime sulle pensioni, le assicurazioni, l’investimento. Senza curarsi, per ora, di dar loro i mezzi a scuola per orientarsi nella vita. La tutela del risparmio in Costituzione, per ora, non vale più del divieto di fare spesa pubblica in deficit.