(di Leonardo Bizzaro – la Repubblica Torino)
Sì alle campagne per convincere i pedalatori ad assicurarsi, no agli obblighi di legge
La “société sécuritaire” ha vinto. Nei giorni scorsi è partito il soccorso alpino a pagamento (in caso di chiamata immotivata, ne ha scritto Jacopo Ricca su Repubblica Torino del 5 gennaio), che ha sicuramente aspetti positivi, ma in prospettiva è quasi l’obbligo ad accendere una polizza per chiunque vada in montagna. E quest’anno debutta anche “UrbanBike”, la prima assicurazione ritagliata per le esigenze dei ciclisti cittadini, che garantisce cure ospedaliere, responsabilità civile e addirittura il recupero della bicicletta dopo un incidente (l’articolo di Irene Maria Scalise è uscito, sempre il 5 gennaio, sulle pagine nazionali di Repubblica). Di fronte all’aumento impetuoso del numero dei ciclisti, potrebbe essere una soluzione interessante, tanto più nel momento in cui il governo ha finalmente approvato, con la legge di stabilità, il riconoscimento dell’infortunio in itinere da parte dell’Inail (finora chi si fosse fatto male in bici andando al lavoro non avrebbe ricevuto alcun rimborso). La polizza è proposta dalla Federazione ciclistica italiana, che di solito si occupa di agonismo e in questo caso allarga il suo interesse alla grande massa degli altri pedalatori, a prezzi popolari da 30 a 55 euro.
L’assicurazione si può accendere con un clic su internet ed è un vantaggio in più. Il problema però è convincere i ciclisti ad assicurarsi. Per la montagna è stato più agevole. Una polizza base viene fornita con il bollino di iscrizione al Cai e i soci sono 300mila, non la totalità di chi va in montagna ma comunque un buon numero. Alla Fci invece è iscritto chi corre in bicicletta: come si farà a convincere chi non frequenta gli ambienti delle gran fondo, se non delle corse in linea? Una soluzione ci sarebbe ed è senza dubbio la peggiore: un’assicurazione obbligatoria, verso la quale periodicamente c’è chi spinge, si tratti della lobby delle quattro ruote o di quella delle assicurazioni. Sarebbe la fine immediata di quella primavera della bicicletta nella quale crediamo da qualche anno.
Sì alle campagne per convincere quanta più gente possibile ad assicurarsi. Sì a un’azione di convincimento perché tutti portino il casco. Ma no, assolutamente no, agli obblighi di legge. Pedalare è libertà, guai se cominciassimo a introdurre anche lì le normative cui sono costretti gli utenti a motore della strada.