Opinione della Settimana

Una pensione su due è a carico della collettività

Pensioni - Rischio longevità (2) Imc(di Roberto E. Bagnoli – Iomiassicuro.it)

Metà delle pensioni in pagamento è a carico della collettività, cioè è d’importo superiore a quello effettivamente maturato sulla base della contribuzione versata. Ma quanto ci costano le pensioni? Alla domanda risponde il Terzo rapporto sul bilancio del sistema previdenziale italiano, redatto dal Comitato tecnico scientifico di Itinerari previdenziali, coordinato da Alberto Brambilla, presentato ieri alla Camera dei deputati. Fino al 2012 il rapporto era redatto dal Nucleo di valutazione della Spesa Previdenziale (previsto dalla legge di riforma del governo Dini del 1995), e trasmesso annualmente al Ministro del Lavoro, e tramite questo alle Camere e agli organismi internazionali. Poi il nucleo ha cessato di esistere ed al suo posto praticamente non c’è stato più nulla, tranne appunto la lodevole iniziativa di “Itinerari Previdenziali”. All’evento hanno partecipato anche il sottosegretario all’Economia Enrico Zanetti e il Presidente della Commissione lavoro Cesare Damiano. L’ex ministro del Lavoro – che fra l’altro ha rilanciato la sua proposta di pensionamento flessibile (a 41 anni di contributi, con una piccola penalizzazione), per favorire il turnover – ha ammesso che va attentamente emendato il testo del disegno di legge sul contrasto alla povertà, che con il passaggio dell’Irpef all’Isee, interessa la pensione di reversibilità.

I numeri della previdenza. Come si legge nel Rapporto, nel 2014 l’ammontare della spesa per pensioni dell’insieme dei fondi obbligatori è stato di circa 249,5 miliardi di euro, segnando un aumento in termini nominali dello 0,6% rispetto all’anno precedente. Sottraendo a tale spesa i 33,4 miliardi trasferiti ai conti previdenziali attraverso la Gias (Gestione degli interventi assistenziali), le prestazioni risultano pari a 216,1 miliardi di euro, con un aumento sull’anno precedente, lo 0,7%, pressoché uguale a quello della spesa totale. Sempre nel 2014, le entrate derivanti delle contribuzioni sono state di 189,6 miliardi di euro, con un aumento di 230 milioni rispetto al 2013. In seguito a questi andamenti, il saldo tra le entrate contributive e le uscite per prestazioni ha registrato un risultato negativo pari a 26,5 miliardi di euro, ovvero 1,25 miliardi in più rispetto a quello dell’anno precedente. Il dato viene dopo una serie di altri risultati negativi, in peggioramento a partire dal 2008, anno in cui il sistema previdenziale aveva raggiunto una situazione di quasi equilibrio tra le entrate contributive e le spese per pensioni al netto della quota relativa alla Gias.

Nord in testa. Le regioni con la più elevata percentuale di pensioni di anzianità, sono quelle del Nord Italia: Lombardia, Piemonte, Emilia Romagna e Veneto; gli ultimi posti riguardano invece quelle del Mezzogiorno. Considerazioni analoghe valgono per le pensioni di vecchiaia, con le regioni del Centro Nord come Lombardia, Emilia Romagna, Piemonte, Lazio, Veneto e Toscana che erogano il maggior numero rispetto al totale delle pensioni di vecchiaia erogate in tutta Italia (tra il 17,4% e il 7%). Le regioni del Sud Italia, invece, registrano il più alto numero di pensioni di invalidità rispetto al totale; Campania, Sicilia e Puglia occupano i primi posti della classifica, con un rapporto tra il 9% e il 10%. Guardando al numero di pensioni ai superstiti (la reversibilità, salita in questi ultimi giorni all’onore della cronaca), i rapporti più elevati si distribuiscono tra Nord e Centro Italia. Lombardia e Lazio hanno il più alto rapporto, rispettivamente pari al 15,8% e all’8,4%.

Il fattore demografico. L’invecchiamento della popolazione italiana è uno dei fattori che maggiormente condiziona le attuali scelte politiche, e una delle principali preoccupazioni riguarda il suo impatto sulla sostenibilità finanziaria del sistema pensionistico. L’aumento progressivo e inarrestabile del numero assoluto degli anziani e della loro proporzione rispetto alle componenti più giovani della popolazione, da tempo va stravolgendo la struttura demografica della popolazione e continua a rimodellarla. Questa trasformazione determina un aumento del numero dei pensionati e degli anni di vita, diretta o indiretta, di una pensione, e contemporaneamente riduce il numero d’individui in età lavorativa: questa combinazione di fattori è particolarmente rilevante in un sistema a ripartizione (si pagano le pensioni sulla base dei contributi incassati) come il nostro.

Previdenza versus assistenza. Secondo il Rapporto bisogna separare la spesa assistenziale da quella previdenziale, una richiesta che proviene da più parti e da molti anni. Per il nostro sistema previdenziale quest’operazione non è solo utile in termini contabili, perché fa chiarezza su spese che sono molto diverse tra loro, ma è anche un esercizio di equità tra chi ha versato contributi e chi no. Operazione necessaria poiché il nostro modello di welfare per finanziare le pensioni prevede una tassa di scopo (i contributi sociali), mentre l’assistenza è finanziata dalla fiscalità generale. Per questi motivi il Rapporto ha riclassificato il bilancio, proprio per evidenziare le spese di natura assistenziale separandole da quelle pensionistiche pure, quelle cioè sostenute da contribuzioni. Emerge che la spesa per pensioni di natura previdenziale (cioè quelle pagate con i contributi dei lavoratori), nel 2014 ha raggiunto i 216,107 miliardi, mentre le entrate contributive sono state pari a 189,595, per un saldo negativo di 26,512 miliardi. Tuttavia, se alle entrate contributive totali sottraiamo la quota Gias a carico dello Stato e le imposte che lo Stato incassa direttamente, e che sono semplicemente una “partita contabile di giro” e quindi una “non spesa”, il totale si riduce a 173,207 miliardi. In buona sostanza, le entrate contributive coprono ampiamente la spesa per le pensioni. Questo dovrebbe indurre a maggiore prudenza coloro che propongono tagli alle pensioni, deindicizzazioni varie e contributi di solidarietà che, assieme alle notizie (errate) delle basse pensioni pagate dall’Inps, hanno il solo effetto di aumentare elusione ed evasione contributiva e dissuadono i giovani da una corretta contribuzione. Oltretutto, considerando la spesa pensionistica effettiva così come sopra calcolata, il rapporto con il Pil si riduce dal 15,46% al 10,06%, allineandosi agli altri Paesi Ue. Istat per l’anno 2011 ha addirittura comunicato a Eurostat che la spesa per Ivs (invalidità, vecchiaia e superstiti) è pari al 19% sul Pil proprio per il fatto che prestazioni come le integrazioni al minimo, le maggiorazioni sociali e gli assegni familiari sono imputati alla spesa per pensioni.

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