(di Carlo Giuro – Milano Finanza)
Come illustra uno studio Covip, i fondi pensione possono dare un rilevante contributo all’economia reale. A patto però di superare alcuni ostacoli
Uno dei temi economici di maggior rilievo nel dibattito in corso sul come sostenere la ripresa economica è il ruolo degli investitori istituzionali. In questa prospettiva si inquadra la prossima richiesta che dovrà essere posta in essere da parte dei fondi pensione, tra il 1° marzo e il 30 aprile, del riconoscimento del credito di imposta del 9% per gli investimenti in infrastrutture e Oicr che investono in piccole e medie imprese. Di particolare interesse sono ora le statistiche e le riflessioni condotte dalla Covip nel Quadro di sintesi sulla situazione patrimoniale delle Casse di previdenza che dedica un approfondimento specifico all’investimento previdenziale al sostegno del Paese. Il documento della Autorità di Vigilanza rappresenta i dati relativi alle risorse delle Casse al 31 dicembre 2014.
Concentrando l’attenzione sul sistema Paese emerge come al 31 dicembre 2014 gli investimenti degli Enti superano quelli non domestici. I primi ammontano a 32,9 miliardi di euro, pari al 45,8% del totale delle attività, mentre i secondi si attestano a 25,6 miliardi, il 35,5%. Nell’ambito degli investimenti domestici, le due componenti prevalenti sono gli investimenti immobiliari (pari al 25,8%) e i titoli di Stato (14,5%). Nel confrontare Enti e forme pensionistiche complementari, la Covip osserva che la situazione si presenta invertita. Nei fondi pensione, infatti, gli investimenti non domestici superano quelli nel sistema Paese. I primi ammontano a 58,1 miliardi, pari al 56,8% del totale, mentre i secondi si attestano a 35,4 miliardi, corrispondenti al 34,6%. Nell’ambito degli investimenti domestici dei fondi pensione, la quota più significativa è rappresentata dai titoli di Stato (27,1%). Covip sottolinea poi che nel Paese, tenendo conto della preponderante presenza di pmi, degli strumenti disponibili per l’investimento in titoli di imprese domestiche appare ancora ristretta e non pienamente adeguata rispetto alle esigenze delle forme previdenziali. Oltre alla conformità alla normativa vigente, prosegue l’Autorità, tali strumenti dovrebbero possedere idonei requisiti in termini, ad esempio, di trasparenza, di criteri e frequenza di valorizzazione dell’investimento, di possibilità di smobilizzo, di livello dei costi. A questo proposito, l’impulso impresso anche a livello normativo all’investimento nelle piccole e medie imprese tramite strumenti alternativi (ad esempio, minibond, fondi di private equity, credit fund e veicoli di cartolarizzazione) può recare stimoli al maggior ruolo degli Enti e delle forme complementari nel sostegno alle imprese italiane, ferma restando l’esigenza di assicurarne la coerenza con la finalità previdenziale. Sembra emergere poi una possibile diversa propensione fra Enti e forme pensionistiche complementari. Per i primi, che hanno già raggiunto lo stadio di maturità essendo a regime la fase di erogazione delle prestazioni, i margini per aumentare gli investimenti nell’economia italiana sono contenuti. Per i fondi, invece, il cui stadio di sviluppo è ancora lontano dalla piena maturità, l’aumento degli investimenti in strumenti finanziari emessi dalle imprese italiane ha spazi. Quali sono gli ostacoli? Diverse le cause che vengono individuate, dalla replica di benchmark di mercato diversificati su scala internazionale nei quali il peso dell’Italia è marginale alle difficoltà nella valorizzazione e liquidabilità di strumenti non quotati, all’avversione al rischio dei cda dei fondi, fino alla durata dei mandati incoerente rispetto all’orizzonte temporale delle linee.