(di Elio Silva – Il Sole 24 Ore)
L’alto gradimento dei fattori Esg (acronimo di environmental, social and government) nel cuore e nei portafogli dei grandi gestori di attività fmanziarie non conosce incrinature, nonostante le forti turbolenze di questo inizio d’anno. Si direbbe, anzi, che più gli scenari si fanno incerti e insidiosi, più la tendenza a investire secondo criteri di sostenibilità e responsabilità sociale offre agli operatori una prospettiva razionale, rassicurante e per quanto possibile profittevole, almeno a giudicare dal rendimento che queste tipologie di attività sono riuscite a garantire nell’ultimo triennio, sovraperformando nella maggior parte dei casi gli indici generali nelle rispettive categorie di rischio.
In questo feeling di mercato non si può escludere a priori una qualche componente tattica, ma non c’è dubbio che, a livello di sistema, il mondo finanziario si sta interrogando con molta serietà su quali asset siano davvero in grado di creare e mantenere valore nel tempo. I parametri di sostenibilità ambientale e sociale, la capacità di rendicontazione e la trasparenza della governance diventano, così, oggetto di un’attenzione più matura rispetto al passato, con criteri di misurazione raffinati e attraverso la sperimentazione di inediti benchmark.
L’interesse per gli investimenti sostenibili ha concretamente contagiato anche il compassato mondo dei fondi pensione che, essendo per definizione investitori di medio-lungo termine, hanno le carte in regola e le motivazioni giuste per giocare da protagonisti in questo campo. Una ricerca globale presentata a fine febbraio da State street corporation, uno dei maggiori fornitori a livello mondiale di servizi finanziari per gli istituzionali, ha rivelato che l’investimento secondo parametri Esg è uno dei driver del cambiamento che i grandi gestori hanno in programma di affrontare per rispondere alle sfide incombenti. L’indagine ha interessato 400 professionisti (in termine tecnico asset owner istituzionali) di 20 paesi e ha riguardato diversi aspetti del riposizionamento strategico, ma l’enfasi sui miglioramenti attesi in trasparenza, frequenza del reporting e criteri di sostenbilità è risultata il tratto dominante delle risposte.
Non solo: il cluster italiano (composto sia da operatori del settore privato, sia da Casse privatizzate e fondi pensione pubblici) ha mostrato un’attenzione superiore alla media del campione, dichiarando un interesse “elevato” nel 28,6% dei casi e “moderato” per il 61,9 per cento. Solo il rimanente 9,5% si è detto neutrale o indifferente rispetto al nuovo trend. Inoltre, il 94,7% dei top manager intervistati ha affermato di ritenere preferenziali, ai fini di un’eventuale assunzione, le competenze di un gestore in materia Esg.
Nessuna rivoluzione, ovviamente. Come spiega Federico Viola, responsabile delle Asset owner solutions per il Sud Europa di State Street: «Il dato va letto come un’affermazione di consapevolezza, molto robusta sul piano della sensibilità, ma con ancora poche declinazioni concrete. E noto che su questi temi il mondo anglosassone e i paesi nordici sono storicamente all’avanguardia. In Italia il trend è ancora agli inizi».
In effetti, quando dalle affermazioni di carattere generale si passa alla concretezza dei parametri operativi, si percepisce subito che molto resta da fare per integrare i criteri ambientali, sociali e digovemance nelle politiche di investimento dei fondi pensione. «C’è un problema di educazione finanziaria, di cui l’Italia ha grande bisogno», commenta Davide Dal Maso, segretario generale del Forum per la finanza sostenibile, che dal 2012 organizza ogni anno, in autunno, una settimana di eventi sullo Sri (Sustainable and responsible investment).
I problemi iniziano già in fase di identificazione dei criteri da prendere a riferimento, si moltiplicano nell’assegnazione dei pesi relativi e diventano una matassa al momento di tradursi in politiche di investimento specifiche a seconda della dimensione dei patrimoni, delle tipologie di assicurati, delle esigenze di liquidità. Per fortuna il progressivo affermarsi di benchmark riconosciuti a livello internazionale (uno ad hoc per i fondi pensione è stato presentato nel 2015 dallo stesso Forum per la finanza sostenbile) può venire in soccorso agli operatori. E comunque, al netto di tutte le difficoltà di ordine operativo, il salto culturale della consapevolezza sull’importanza degli investimenti sostenibili non è più in discussione.
L’integrazione dei criteri Esg negli asset dei fondi pensione, laddove realizzata, ha consentito negli anni più recenti buone performance e questo sicuramente ha accresciuto tanto la soglia di attenzione quanto la capacità di comunicazione. La virtù più preziosa, però, resta pur sempre la possibilità, che questi strumenti offrono, di valutare e gestire correttamente i rischi finanziari. Un fattore che, in una logica di medio-lungo termine, può davvero fare la differenza.