(di Alberto Brambilla, presidente Centro studi e ricerche Itinerari Previdenziali – Il Sole 24 Ore)
In venti anni di esercizio in forma privatizzata il patrimonio è cresciuto e si è vista una rilevante capacità di innovazione
Il decreto di privatizzazione degli Enti previdenziali sostitutivi dell’Ago (Assicurazione generale obbligatoria) a cui facevano riferimento soprattutto i liberi professionisti iscritti agli Albi viene approvato nel 1994, anno in cui i postumi di Tangentopoli (la grande crisi morale del paese) e della grave crisi finanziaria si respiravano ancora. Tant’è che i grandi enti previdenziali pubblici erano ancora retti da un Commissario straordinario e così pure molti enti sostitutivi, i cui vertici spesso erano incappati nelle maglie della giustizia. In questa situazione, sulle macerie dei partiti tradizionali tocca al nuovo Governo, retto da partiti appena costituiti e da un leader nuovo, Silvio Berlusconi, il compito di risistemare gli enti pubblici e di offrire agli enti sostitutivi la possibilità di privatizzarsi o di confluire nell’Inps.
Gli interventi degli anni ’90
Con il decreto legislativo 30 giugno 1994, n. 479 (pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale. 178 del 1° agosto 1994), in attuazione della delega conferita dall’articolo i, comma 32, della legge 24 dicembre 1993, n. 537, in materia di riordino e soppressione di enti pubblici di previdenza e assistenza, vengono riformati secondo regole comuni Inps e Inail, e si procede altresì all’istituzione di due nuovi enti pubblici: da un lato, l’Istituto nazionale di previdenza per i dipendenti dell’amministrazione pubblica (Inpdap), cui è affidata la gestione della previdenza dei dipendenti del settore pubblico, e che accorpa la «Cassa per le pensioni dei dipendenti degli entil ocali – Cpdl», la «Cassa per le pensioni degli insegnanti d’asilo e di scuole elementari parificate», la «Cassa per le pensioni dei sanitari» e la «Cassa per le pensioni degli ufficiali giudiziari e dei coadiutori», amministrate in precedenza dalla Direzione generale degli istituti di previdenza del ministero del Tesoro; dall’altro lato, l’Istituto di previdenza per il settore marittimo (Ipsema), per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie della gente di mare, e che va ad assorbire le competenze della «Cassa Marittima Adriatica», della «Cassa Marittima Tirrenica» e della «Cassa Marittima Meridionale».
Simultaneamente, con il decreto legislativo 30 giugno 1994, n. 509 si sono creati i presupposti per trasformare gli Enti di previdenza e assistenza obbligatoria a favore dei liberi professionisti (nonché di altri Enti nominativamente indicati) in soggetti con personalità giuridica di diritto privato. Il decreto ha determinato, infatti, i principi fondamentali necessari al corretto funzionamento del nuovo sistema previdenziale privato in termini di autonomia gestionale, trasparenza e controllo, garanzie per gli iscritti, equilibrio della gestione e strumenti per il suo monitoraggio. La totalità delle Casse professionali ha colto l’opportunità e si è trasformata in fondazioni o associazioni di diritto privato, tranne l’Inpdai (l’ente di previdenza dei dirigenti di azienda) che nel 2002 è stato accorpato all’Inps per l’impossibilità finanziaria a proseguire in modo autonomo.
Successivamente, in attuazione della delega conferita dall’articolo 2, comma 25, della legge 8 agosto 1995, n. 335, con il decreto legislativo 10 febbraio 1996, n. 103 viene assicurata, a decorrere dal 1° gennaio 1996, la tutela previdenziale obbligatoria ai soggetti che svolgono attività autonoma di libera professione senza vincolo di subordinazione, il cui esercizio è condizionato all’iscrizione in appositi Albi o elenchi, e a coloro che esercitano attività libero-professionale, ancorché contemporaneamente svolgano attività di lavoro dipendente.
Una scommessa vinta
Ho voluto ripercorrere questi passaggi che ho vissuto personalmente e direttamente al Dipartimento Economico di Palazzo Chigi, diretto da Stefano Parisi e con la direzione politica di Giuseppe Tatarella e Gianni Letta, proprio per affermare che, dopo una lunga discussione, fortunatamente mai ideologica ma solo sui principi gestionali (la funzione pubblica sostitutiva dell’Ago non venne mai messa in discussione), l’offerta di privatizzarsi nella gestione fu estesa ai vari Enti in maniera convinta. Come fu convinta l’adesione, senza condizioni, da parte delle categorie interessate. Qualcuno all’epoca prevedeva che questi nuovi Enti, primo ed unico esperimento di privatizzazione, fossero destinati al fallimento e che nel giro di pochi anni sarebbero confluiti all’Inps; così non è stato, salvo che per l’Inpdai e, per sorte, toccò ancora a me, come sottosegretario di Stato, firmare l’atto di incorporazione.
È stata una scommessa vinta? Sicuramente sì, sotto tutti i profili: da quello legale – non ci furono più scandali e, tranne qualche ultima complicazione, il sistema ha retto bene – a quelli finanziario e di sostenibilità del sistema (50 anni che pochi enti europei possono vantare). Solo negli ultimi dieci anni, in base ai dati elaborati dal Centro Studi e Ricerche di Itinerari Previdenziali, il patrimonio del “sistema casse” è aumentato del 167,5% e oggi sfiora i 65 miliardi, mentre il numero di iscritti è cresciuto di circa il 121% dal 1989 ad oggi, quando se ne contano quasi 1,3 milioni, che superano quota 1,6 milioni se si contano anche gli assicurati agli Enti previdenziali di secondo pilastro. Ma soprattutto, è il dato riferito al rapporto tra pensionati e attivi, che oggi è pari a 0,275 (cioè 3,7 attivi per ogni pensionato) che oltre a certificare il successo del sistema, consente di guardare al futuro con ampi margini di sicurezza.
E non ultima, la progressiva trasformazione da enti di previdenza e assistenza a enti polifunzionali ha garantito alle categorie l’erogazione di un’ampia gamma di servizi, che oggi spaziano dalle prestazioni a sostegno degli iscritti (inclusi gli assegni per nucleo familiare e i sussidi per le rette per case di riposo) a quelle a sostegno della professione (come gli assegni per studio e i prestiti per avvio attività professionale), fino all’erogazione di ammortizzatori sociali, per un ammontare complessivo di circa 495,4 milioni per l’universo censito da Adepp nel suo ultimo Rapporto.
Certamente le sfide finanziarie impongono ai vertici di questi enti costante attenzione e manutenzione degli equilibri. In questo la politica non ha aiutato. È ora di premiare questi enti confermando la vera natura gestionale privatistica dato che nessuno dei provvedimenti che impongono procedure pubbliche ha modificato il decreto 509/94 e pertanto senza tali modifiche sono solo interpretazioni poco legittime e confutabili (l’obbligo Eurostat di comunicare i dati nonsignifica che questi enti siano pubblici, anche perché Sespross prevede espressamente le voci enti pubblici ed enti privati). E, infine, sarebbe ora anche di abolire la doppia tassazione che, unica in Europa, non si concilia con la funzione pensionistica obbligatoria.