Opinione della Settimana

Le compagnie si aprono al rischio

Rischio - Gestione (2) Imc

(di Federica Pezzatti – Plus24)

Lo dicono i dati Aifi: cresce l’interesse verso private equity e venture capital ma siamo ancora lontani da Usa e Francia

Sicuramente hanno contribuito i rendimenti ormai inesistenti, ma finalmente anche il mondo assicurativo e previdenziale sta iniziando a investire nel settore del private equity e del venture capital, in linea con quanto avviene all’estero dove le assicurazioni hanno investito nel settore 2014 ben 70 miliardi di dollari.

I dati parlano chiaro: in Italia dal 2000 al 2015 private equity e venture capital hanno raccolto 21,5 miliardi di euro di cui solo 8,7 miliardi provengono dall’estero. In particolare nel 2015 la raccolta si è impennata dell’85%, passando da 1,348 miliardi a 2,487 miliardi. E le assicurazioni italiane insieme ai fondi pensione hanno fatto la loro parte: le prime hanno raccolto il 13% del totale (contro il 17% delle banche), mentre i fondi pensione e le casse di previdenza ben il 20% rivelandosi (insieme agli investitori individuali e ai family office) i principali finanziatori del settore.

A mostrare le cifre è Anna Gervasoni, direttore generale di Aifi (Associazione Italiana Private equity, venture capital e private debt) nel corso della presentazione del World insurance report 2016 di Capgemini tenutasi lo scorso mercoledì che quest’anno era proprio focalizzato sull’influenza crescente che le connected technologies (e quindi anche le società fintech) hanno sul settore assicurativo e su come lo sviluppo dei principali gruppi debba in qualche modo rapportarsi alla presenza in questo settore: il mondo assicurativo è investito in pieno dall’Iot (Internet of Things).

Anche così si motiva la ripresa degli investimenti, nella «tecnofinanza»: solo nel 2015 sono stati investiti 14 miliardi di dollari nel mondo su queste società, in molti casi start-up, dove c’è effettivamente una forte selezione ma dove talvolta si riescono a trovare i cosiddetti unicorni (si stima che lo scorso anno ne siano stati individuati ben 19): si tratta di un modo fantasioso degli esperti di settore per indicare le perle che chi investe in start-up riesce talvolta a scoprire. Unicorni, che secondo alcuni, soprattutto sul mercato americano, sono ora molto sopravvalutati, un problema che comunque non pare esserci nella vecchia Europa dove la raccolta di capitali è decisamente minore.

«Del resto nel mondo gli assicuratori sono i più grandi sottoscrittori di private equity e di private debt – spiega Gervasoni –. Il tutto con discreti benefici sui risultati dell’asset allocation. L’Irr (tasso interno di rendimento, ndIMC) netto medio annuo degli ultimi dieci anni è intorno all’11%. Ritengo che investire sull’economia reale sia anche un modo per incentivare il futuro risparmio diretto alla previdenza: se il paese non cresce, non ci si assicura e non ci sarà risparmio previdenziale da gestire». In effetti guardando le cifre il confronto con gli altri paesi europei ci rendiamo conto che il settore assicurativo italiano è tra i meno esposti: nel biennio 2013 -2014 in Francia l’ammontare raccolto da PE e VC presso le assicurazioni è stato di poco inferiore ai 4 miliardi; mentre la cifra messa sul piatto dagli assicuratori italiani è stata di circa 200 milioni nello stesso periodo (334 milioni hanno invece versato casse e fondi nel biennio). Se si guarda invece al fund raising realizzato dal capitale di rischio presso le casse e i fondi pensione vince la Gran bretagna con 7 miliardi. C’è da dire che tra assicurazioni e venture capital c’è una reciproca attrazione in questo periodo: anche i fondi internazionali hanno mostrato interesse verso le compagnie. Si pensi solo alle operazioni di JC Flowers su Eurovita, a quella di Apollo su Amissima, o a Cinven entrata in Ergo. «Il mondo del private equity sta mostrando interesse verso tutto il settore finanziario – spiega Gervasoni –. Ma c’è anche grande interesse per tutto il settore dell’innovazione e più in generale delle start-up: oggi siamo il secondo paese dopo il Regno Unito per velocità e sostegno di queste iniziative, grazie anche a sblocchi legislativi che hanno consentito tempi più rapidi».

Investimenti private equity (Plus24 14.05.2016) Imc

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