Philippe Donnet, nuovo ceo di Generali, ha annunciato da poco i risultati del primo trimestre 2016, non proprio soddisfacenti vista la riduzione dei margini finanziari e lo scenario competitivo sempre più complesso. La borsa, già volatile di suo, ha così fatto perdere alle azioni di Trieste un ulteriore 3% in un paio di giorni. Ma la performance borsistica delle Generali andrebbe letta su un periodo temporale e di ciclo manageriale più lungo. E del resto è abbastanza evidente che le attuali performance sono il risultato delle strategie impostate da un altro ceo, Mario Greco (nella foto, di Piranha Photography, durante l’Investor Day Generali 2013 a Londra), nominato ad di Generali nell’agosto 2012.
In quel momento l’azione quotava circa 11 euro. All’annuncio delle dimissioni e del passaggio di Greco a Zurich ne valeva circa 15, con una performance del 36% circa in tre anni e mezzo, Se però si considerano frutto del lavoro di Greco i risultati di oggi, che hanno portato il titolo a circa 12,5 euro, la performance cumulata in circa quattro anni scende a un 13%. Nel periodo agosto 2012-gennaio 2016, l’indice Ftse All-Share è passato da quota 15.500 a 21.500, con un rialzo del 38% circa; oggi è circa a quota 19.500, in progresso del 26% in quattro anni. Le Generali hanno quindi fatto peggio dell’indice di borsa, in un periodo in cui il rischio percepito dai mercati finanziari verso i titoli di Stato italiani, di cui il portafoglio Generali è pieno, è sensibilmente migliorato. Quindi la performance in borsa delle Generali è ancor meno positiva di quanto sarebbe potuta essere.
Questo non significa che Greco abbia fatto male alla guida della maggiore assicurazione italiana, perché senza il lavoro di riorganizzazione impostato dal ceo e dal suo team, forse non si sarebbero nemmeno raggiunte le attuali performance, in leggero calo per ragioni di mercato e di tassi, ma comunque assai positive in valore assoluto. Per giudicare i risultati ottenuti dai vertici aziendali, nella Generali come in altre grandi aziende, sarebbe dunque opportuno analizzare cicli di almeno cinque o sei anni e non di soli tre. E la valutazione andrebbe sempre fatta in termini relativi rispetto al mercato e ad aziende comparabili. Il mito del tocco magico, da strateghi e risanatori, a cui molti top manager tengono particolarmente (piuttosto appagante in termini di remunerazioni), potrebbe in alcuni casi rimanere o essere addirittura rafforzato; in altri casi, invece, potrebbe uscirne ridimensionato. Le grandi aziende, banche o assicurazioni sono ormai troppo grandi e complesse per il singolo ceo, per quanto noto al pubblico. Il successo o l’insuccesso sono quantomeno frutto del lavoro di squadre, in cui, talvolta, le seconde linee poco conosciute sono più utili e determinanti degli stessi amministratori delegati.