Opinione della Settimana

Unit linked, determinante il trasferimento del rischio

Sentenza (6) Imc

(di Primo Ceppellini e Roberto Lugano – Quotidiano del Fisco)

Esistono diverse profilazioni: senza garanzia per il sottoscrittore, parzialmente garantita o totalmente garantita. La Corte di Cassazione ha chiarito che se non ci sono tutele per l’assicurato si è davanti a uno strumento finanziario

Il trasferimento del rischio è un elemento essenziale del contratto: occorre valutare se e in che misura il rischio rimane sull’assicurato o viene trasferito sull’assicuratore.

Su questo aspetto è intervenuta la Corte di cassazione (sentenza 6061 del 18 aprile 2012) specificando che una polizza sulla vita in cui il rischio è assunto dall’assicuratore può rientrare tra i prodotti previdenziali, mentre quando si concretizza nell’investimento in uno strumento finanziario in cui il rischio di performance è per intero addossato all’assicurato (senza garanzia di restituzione di quanto versato o di un rendimento minimo) rientra nei prodotti di tipo finanziario. Ovviamente i profili di ripartizione del rischio sono profondamente diversi tra le polizze unit linked pure (nessuna garanzia sul capitale per l’assicurato) e quelle garantite o parzialmente garantite. Secondo una recente pronuncia, se si prevede quantomeno un capitale minimo garantito non rileva più il collegamento a un sottostante finanziario (Tribunale di Viterbo 3 aprile 2015).

Molte sentenze si sono basate sull’assenza di garanzie per il sottoscrittore per concludere a favore della natura finanziaria dell’investimento, rafforzata dal fatto che la prestazione della compagnia assicuratrice non fosse legata ad un fatto attinente la vita umana (tra le altre, Tribunale di Venezia 24 giugno 2010, Tribunale di Parma 4 novembre 2011 e Tribunale di Bologna 28 aprile 2015).

A conclusioni diverse è giunto il Tribunale di Roma (sentenza 2 maggio 2012) secondo il quale le polizze unit linked «pur avendo un’elevata componente finanziaria, rimangono comunque prodotti assicurativi sia perché l’assicuratore corre il rischio cosiddetto demografico, in quanto la prestazione (ancorché agganciata al valore di un fondo comune o di un indice) è comunque dovuta al verificarsi di un evento attinente alla vita umana, sia perché il rischio delle perdite finanziarie è sostenuto anche dall’assicuratore, quanto meno, nel consentire, a determinate condizioni, il riscatto anticipato della polizza».

Si tratta di un aspetto richiamato anche nella sentenza del Tribunale di Cassino del 13 dicembre 2010, e ripreso nella sentenza del Tribunale di Mantova del 15 gennaio 2013.

Particolarmente articolata è la recentissima pronuncia del Tribunale di Torino del 17 marzo 2016. In essa si ribadisce fin dalle premesse che «si tratta di un contratto con causa mista atipica, a contenuto prevalentemente finanziario e, in via residuale, assicurativo. In particolare, il fatto che l’entità del capitale o della rendita dipendano dalla maggiore o minore redditività dell’investimento comporta che l’intero rischio dello stesso gravi sull’assicurato (…). Per questa ragione la causa prevalente del negozio pare essere quella finanziaria, laddove la polizza vita sembra avere solamente lo scopo di individuare i momenti in cui l’assicuratore dovrà effettuare la prestazione di rimborso alla quale è obbligato».

Notiamo infine che l’evoluzione dello strumento consente di ottenere garanzie sulla restituzione di tutto o comunque di buona parte del premo versato anche in altri modi, ad esempio prevedendo che in caso di morte dell’assicurato le indennità liquidate agli eredi rappresentino una percentuale superiore al 100 per cento (purché significativa) del valore del fondo sottostante.

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