Opinione della Settimana

Previdenza, il fondo è per sempre

Calcolo - Previdenza Imc

(di Carlo Giuro – Milano Finanza)

Anche dopo la pensione si può aderire alla previdenza complementare. Ecco tutti i casi in cui è possibile fare questa scelta e i vantaggi fiscali

Uno dei fenomeni di maggior rilievo nel mercato italiano del lavoro è rappresentato dalla crescente tendenza del numero dei pensionati che durante la crisi hanno deciso di continuare a lavorare. La linea sembra destinata a proseguire, anzi a incrementarsi, in considerazione sia del progressivo innalzamento della vita media che delle raccomandazioni di Ocse e Commissione europea in termini di longevità attiva. Ma quali sono i profili previdenziali nel caso di lavoro da parte di un pensionato?

Con riferimento alla previdenza di base, il pensionato versa nella gestione separata dell’Inps con aliquota ridotta. Cosa prevede invece la previdenza complementare? La Covip ha chiarito che possono aderire ai fondi pensione o ai piani individuali di previdenza (pip) i pensionati di anzianità (ora pensionati anticipati) purché l’iscrizione avvenga un anno prima della maturazione dell’età prevista per il pensionamento di vecchiaia. Non possono invece aderire i pensionati di vecchiaia. Ecco allora gli elementi di convenienza che possono indurre un pensionato ad aderire a un fondo pensione. La prima finalità può essere di tipo previdenziale. Potrebbe essere il caso di un pensionato di anzianità, che attivi un nuovo rapporto di collaborazione, che potrebbe avere convenienza ad aderire finanziando la previdenza complementare con i redditi della nuova attività lavorativa, usufruendo dei vantaggi fiscali. Sono infatti deducibili dal reddito imponibile Irpef i contributi versati ai fondi pensione per un importo non superiore a 5.164,57 euro annuo. Va poi ricordato che la normativa in materia di previdenza complementare consente il proseguimento della contribuzione sine die al di là del raggiungimento dell’età pensionabile di vecchiaia avendo quindi il pensionato il vantaggio di potere mantenere nel tempo il piano previdenziale fino a quando non deciderà di interrompere definitivamente ogni attività lavorativa, continuando a beneficiare della deducibilità fiscale dei contributi. Vi è poi un’ulteriore chiave di possibile lettura in termini di convenienza, di matrice strettamente fiscale. Va ricordato in questa prospettiva cosa preveda la normativa previdenziale in termini di prestazioni.

Il diritto alla rendita pensionistica si acquisisce al momento della maturazione dei requisiti di accesso alle prestazioni stabilite nel regime obbligatorio di appartenenza, con almeno cinque anni di partecipazione alle forme pensionistiche complementari. La previdenza integrativa costituisce, infatti, nella volontà del legislatore un binario che corre parallelo alla previdenza obbligatoria al fine di contribuire a mantenere inalterato il tenore di vita dei futuri lavoratori in quiescenza, in considerazione dell’irrimediabile riduzione dei trattamenti previdenziali prospettici per effetto dell’introduzione del metodo contributivo. Per quel che riguarda le modalità di percezione, queste possono essere o sotto forma di rendita erogata al 100% o in capitale, secondo il valore attuale, fino a un massimo del 50% del montante finale accumulato. Si prevedono poi due eccezioni al ricorrere delle quali è possibile percepire la prestazione interamente sotto forma di capitale. Il primo caso ricorre quando la rendita derivante dalla conversione di almeno il 70% del montante finale sia inferiore al 50% dell’assegno sociale (pari a 448,07 euro per 13 mensilità per un importo annuo di 5.824,91 euro).

Ulteriore fattispecie è quella degli aderenti a vecchi fondi: quei soggetti cioè che, alla data di entrata in vigore del decreto legislativo n. 124 del 1993, risultassero iscritti a forme pensionistiche complementari già istituite al 15 novembre 1992 (cosiddetti vecchi iscritti) che possono optare per la liquidazione dell’intera prestazione pensionistica in capitale. Tornando all’adesione da parte del pensionato di anzianità, il ragionamento a volte condotto è in termini di arbitraggio fiscale, valutando che al termine del piano previdenziale si possa poter riscuotere l’intera prestazione sotto forma di capitale nel caso in cui, come si diceva, l’importo della rendita vitalizia derivante dalla trasformazione del 70% del montante finale accumulato sia inferiore al 50% dell’assegno sociale.

Dal punto di vista fiscale dal 1° gennaio 2007 il trattamento di capitale e rendita è equiparato. Sulla parte imponibile della prestazione erogata è operata una ritenuta, a titolo d’imposta, con l’aliquota del 15%. È prevista, inoltre, una riduzione di detta aliquota pari allo 0,3% per ogni anno eccedente il 15° anno di partecipazione alle forme pensionistiche complementari, con un limite massimo di riduzione di 6 punti percentuali.

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