(di Marino Longoni – ItaliaOggi)
Già depositati 13 mila accordi (aziendali o territoriali) per la detassazione dei premi di risultato. Convenienza fiscale e previdenziale per i beni in natura
Oltre 13 mila accordi già depositati nel sito del Ministero del Lavoro per consentire la detassazione dei premi di risultato. Per la maggior parte (10 mila su 13 mila) si tratta di accordi relativi al 2015. Nell’84% dei casi sono accordi aziendali, mentre i contratti territoriali sono solo 2 mila. Questi i primi risultati di un’operazione prevista dalla legge di Stabilità 2016, che ha innovato in profondità la normativa vigente fino al 2014. Lasciando però qualche dubbio sulle reali finalità della disciplina, che dovrebbe essere tesa a migliorare la produttività, l’efficienza, la qualità dei prodotti, ma fa sorgere il sospetto che si sia voluto semplicemente consentire alle aziende che se lo possono permettere di concedere ai propri dipendenti un aumento di stipendio con tassazione agevolata (o nulla). Ma partiamo dall’inizio.
La detassazione dei premi di risultato non è una novità. È stata in vigore fino al 2014, poi, probabilmente per problemi di gettito, è stata sospesa nel 2015, per essere ripristinata con modifiche significative nella legge di Stabilità 2016 con validità retroattiva anche per l’anno precedente (con tanti saluti all’effetto incentivante dei premi, che non può certo operare per il passato). Tra le modifiche più significative rispetto al passato, l’esclusione degli straordinari, prima ammessi alla detassazione, e il fatto che l’accordo in base al quale questi premi sono erogati deve essere aziendale o territoriale, ma non può essere stipulato dalle organizzazioni sindacali a livello nazionale: la motivazione formale è l’esigenza di adeguarsi il più possibile alla realtà concreta dell’azienda, ma dietro questa regola ci potrebbe essere anche l’intento del governo di aggirare la logica della concertazione. Evitare quindi che l’accordo sindacale venga in qualche modo subordinato o legato ad altre esigenze secondo la logica del do ut des (io ti firmo l’accordo se tu in cambio …).
Inoltre negli anni passati la detassazione è sempre stata legata alla decontribuzione, cioè su questi premi erogati dal datore di lavoro non erano dovuti contributi previdenziali, mentre ora il lavoratore deve versare il 9,49% all’Inps e l’azienda versa un altro 30%. Salvo che il premio non sia erogato in denaro ma in servizi (benefit): in questo caso non sono dovuti contributi previdenziali e nemmeno l’imposta sostitutiva del 10%. Quindi l’offerta di un servizio del valore di mille euro costerà all’azienda mille euro netti, mentre nel caso di un premio monetario del valore di mille euro netti per il lavoratore, il costo aziendale sarà di circa 1.500 euro (30% di contributi a carico dell’azienda, più il 9,49% a carico del dipendente, più il 10% di imposta sostitutiva).
La buona notizia è che, con la modifica del Jobs act, lo strumento della detassazione dei premi di risultato dovrebbe uscire dal precariato e diventare permanente, anche se modifiche e ritocchi alla disciplina sono sempre possibili.
Certo, non si può dire che le aziende si siano buttate a capofitto: 13 mila accordi in sei mesi non sembrano un grande risultato. Ma bisogna tener conto, da una parte, che almeno la metà delle imprese italiane è impegnata da tempo in un’opera durissima di taglio dei costi aziendali, necessaria per rimanere sul mercato: la distribuzione di premi ai dipendenti in questi casi non è una priorità. Inoltre il vantaggio più consistente dal punto di vista del risparmio fiscale e previdenziale si ha nell’attribuzione di premi mediante strumenti di welfare aziendale (per contributi previdenziali e assistenziali, corsi di lingua o cucina, iscrizione a palestre o altre attività sportive, viaggi, abbonamenti a teatro o cinema, check up medico, polizza sanitaria, buoni pasto ecc.), ma in questi casi serve del tempo per organizzare i servizi prima di poterli contrattualizzare. Ed è probabile che, alla fine, gli accordi aziendali si indirizzeranno maggiormente verso l’offerta di questi beni, gli unici che beneficiano di uno sconto fiscale-contributivo di tutto rispetto.