(di Vito De Ceglia – Repubblica Affari & Finanza)
L’ultimo Global Risk Report del World Economic Forum (WEF) ha sondato 750 esperti. Per la prima volta considera il “fattore ambientale” come il pericolo numero uno in termini di impatto sull’anno in corso
Il cambiamento climatico è il rischio più grande per il mondo, per gli impatti nefasti sulla sicurezza alimentare e sulla salute degli esseri umani. Il rischio paventato è superiore dei danni provocati dalla diffusione delle armi di distruzione di massa. A dirlo è l’ultimo Global Risk Report del World Economic Forum (Wef) che, per la prima volta (e quasi a sorpresa), considera il “fattore ambientale” come il pericolo numero uno in termini di impatto nel 2016.
Realizzato con il supporto di Marsh e McLennan Companies e Zurich Insurance Group, il rapporto — giunto alla sua 11esima edizione — è arrivato a questa conclusione avvalendosi dei riscontri di quasi 750 esperti provenienti dal mondo imprenditoriale e accademico, dalla società civile e dalla PA. Il sondaggio chiedeva di considerare 29 rischi globali — di tipo sociale, tecnologico, economico, ambientale o geopolitico — con un orizzonte temporale di 10 anni e, in base alle proprie percezioni, valutare la probabilità che essi si verifichino e il loro conseguente impatto.
Sempre inclusa tra i 5 rischi a più alto impatto negli ultimi 3 anni, la carenza di interventi atti a mitigare il cambiamento climatico e il rispettivo adattamento ha conquistato ora il 1° posto e viene percepita nel 2016 come il rischio con il maggiore potenziale d’impatto negli anni a venire. Non a caso, il riscaldamento climatico ha portato la temperatura media del 2015, per la prima volta, a più di 1 °C al di sopra della media annuale dell’era preindustriale.
Dopo l’ambiente, nel ranking del Wef seguono al 2° posto le armi di distruzione di massa e al 3° le crisi idriche. Le migrazioni involontarie su larga scala sono state inoltre posizionate tra i primi 5 rischi, come pure un grave shock dei prezzi delle fonti energetiche.
Altri rischi globali rimangono, però, problematici a causa della loro combinazione di impatto e probabilità, come ad esempio quelli di carattere economico, comprendenti le crisi finanziarie nelle economie chiave e l’elevata disoccupazione strutturale o la sottoccupazione. Si aggiungono la profonda instabilità sociale e i crimini informatici, che costano all’economia globale circa 445 miliardi di dollari (stima World Bank), un importo superiore al reddito totale di molte economie nazionali.
Agli intervistati è stato pure chiesto quali rischi erano connessi fra di loro e quale effetto a catena avrebbero potuto provocare. Dalle risposte sono emerse 3 possibili dinamiche: il cambiamento climatico potrebbe acuire le crisi idriche, con impatti rappresentati da un moltiplicarsi dei conflitti e da un incremento della migrazione forzata. Per contrastarli, è richiesta la necessità di gestire questi fenomeni impegnandosi in politiche atte a creare “resilienza”, ovvero la capacità di affrontare positivamente e proattivamente i cambiamenti.
Secondo il rapporto, la chiave per creare “resilienza” è la stabilità delle società. Infatti, il primo dei tre gruppi di rischi analizzati da vicino (“Risks in Focus”) riguarda le complesse dinamiche sociali in tempi di digitalizzazione e affronta il fenomeno dell’aumento o diminuzione dei poteri del cittadino come risultato dell’interazione di varie dinamiche: le tecnologie conferiscono ai cittadini il potere di informarsi, collegarsi con altri e organizzarsi. Allo stesso tempo, però, i cittadini si sentono “deprivati dei loro diritti da parte di lontane élite”.
Questo rischio mette in luce l’incombente instabilità sociale causata da interventi repressivi o mancati interventi dello Stato e del mondo imprenditoriale, che si sentono insicuri di fronte a una cittadinanza meglio informata, interconnessa ed esigente. “Una situazione che potrebbe portare a un’accelerazione della spirale negativa costituita da perdita di fiducia e reazioni sempre più dure da entrambe le parti”, osserva il rapporto.
Riprendendo poi il tema della connessione tra clima e acqua, lo studio esamina come i cambiamenti climatici e atmosferici possano compromettere la sicurezza alimentare e la produzione agricola a tutte le latitudini. I paesi più vulnerabili ai cambiamenti climatici spesso dipendono prevalentemente dalla produttività agricola per sostenere la crescita e lo sviluppo economico. “Ma in anni recenti si sono rivelati vulnerabili in tal senso anche paesi del G20 come l’India. la Russia e gli Stati Uniti e altri grandi produttori industriali di derrate agricole”, puntualizza lo studio.
Come riportato, altri rischi globali rimangono problematici: ad esempio, quelli di carattere economico. Su scala globale, gli esponenti del mondo imprenditoriale hanno identificato i rischi più preoccupanti per le proprie imprese nei prossimi 10 anni. In particolare, due: disoccupazione e sottoccupazione e gli shock dei prezzi delle fonti energetiche. Che sono classificati come quelli più gravi per le attività economiche nella metà delle 140 economie nazionali. Seguono l’incapacità delle autorità nazionali di governare efficacemente i propri paesi, le crisi finanziarie, le bolle speculative e gli attacchi informatici.
Nelle risposte provenienti dai Paesi europei dominano i rischi economici, comprendenti le crisi finanziarie, la disoccupazione, le bolle speculative e i prezzi delle fonti energetiche — questi ultimi sono pure la preoccupazione principale in Canada — mentre i dirigenti degli Stati Uniti si preoccupano maggiormente del rischio di attacchi informatici. I partecipanti russi e dell’Asia centrale temono soprattutto le crisi finanziarie e la disoccupazione, assieme ai rischi di un’inondazione incontrollabile e di conflitti tra gli stati. I rischi ambientali preoccupano i manager dell’Asia orientale e dell’area del Pacifico, assieme a quelli connessi ai prezzi delle fonti energetiche e alle bolle speculative.
Nell’Asia meridionale si temono gli sbalzi dei prezzi delle fonti energetiche, come pure le crisi finanziarie, la disoccupazione e l’incapacità delle autorità nazionali di governare efficacemente i propri paesi — che costituisce la maggiore preoccupazione dell’America Latina e dei Caraibi — seguita dallo shock dei prezzi delle fonti energetiche e dalla disoccupazione.
I manager del Medio Oriente e dell’Africa settentrionale sono parimenti preoccupati dai prezzi dell’energia, dalla disoccupazione, dagli attacchi terroristici e dai conflitti tra gli Stati. Nell’Africa subsahariana, infine, i timori della comunità imprenditoriale riguardano la disoccupazione, i prezzi delle fonti energetiche, la mancanza di pianificazione urbanistica e la carenza di quelle che sono le infrastrutture fondamentali.