(di Adriano Bonafede – Repubblica Affari & Finanza)
La piccola compagnia quotata allo Star ha avuto la migliore performance non solo tra i titoli italiani del settore ma anche in raffronto ad Allianz ed AXA. Il più basso combined ratio, dividendi prudenti
Al momento è la più bella del Reame assicurativo. La piccola Vittoria (nella foto, la sede), una delle poche cornpagnie ancora a guida familiare (da sempre è di proprietà degli Acutis), batte nell’ultimo anno tutte le concorrenti: ha perso soltanto il 4,73 per cento contro il meno 22,91 di Unipol, il meno 26,97 di Generali, il meno 18,19 di Cattolica (dati al 20 ottobre). Ma la compagnia italiana ha battuto sul fronte delle performance anche la blasonata Axa (che ha perso nello stesso periodo il 10,59 per cento) e ha fatto un po’ meglio di Allianz, che ha lasciato sul terreno il 5,90 per cento. Non soltanto: nell’ultimo semestre Vittoria è l’unica, fra tutte quelle elencate, ad avere un segno più (11,62 per cento). E ancora: il consensus dei (pochi) analisti raccolti da Bloomberg che seguono la piccola società – 1,2 miliardi di raccolta premi all’anno e quotazione allo Star, la “vetrina” delle migliori Pmi italiane – è largamente positiva: due “buy” o “add” e un “hold”.
Non c’è dubbio: la compagnia è ancora sotto lo stretto controllo del patron Carlo Acutis (presidente emerito, mentre il figlio Andrea è presidente) che tiene saldamente in mano il 58 per cento del capitale. Ed è un gioiellino che se fosse messo in vendita scatenerebbe gli appetiti di molti fondi esteri e di gruppi assicurativi. Mentre oggi la scarsità del flottante, 32,1 per cento, rende l’acquisto di queste azioni sul mercato piuttosto problematico. Come tutti i titoli “sottili”, del resto.
Non siamo comunque di fronte a una società particolarmente innovativa dal lato del business. Si tratta infatti di una compagnia assolutamente tradizionale, per l’87 per cento concentrata sul danni (di cui il 60 è sull’Rc auto, il 12 altro auto e il restante 28 altri rami danni). Il vita rappresenta oggi il 13 per cento, ed è costantemente diminuito dal 2008 quando era al 18 per cento. «Noi abbiamo previsto il cambiamento del mercato – dicono alla compagnia – e le difficoltà che sarebbero arrivate per le polizze vita tradizionali, che offrono rendimenti minimi che oggi, con gli attuali tassi, sono difficilmente sostenibili per le assicurazioni».
Un tempo una compagnia così concentrata nel ramo Rc auto sarebbe stata mal vista dal mercato. Non però Vittoria, che ha un combined ratio (il rapporto tra premi incassati e sinistri rimborsati) dell’89,4 per cento, di fatto – come nel 2015 – un record per la stessa compagnia, visto che in tempi non lontani, nel 2008, era di 99,1. E visto che si tratta del miglior combined ratio del mercato italiano, a parte quello di Allianz Italia. Questo parametro sta a significare che la compagnia guadagna dalla gestione tecnica e non è costretta a “rifarsi” con la gestione finanziaria.
Per certi aspetti, Vittoria sembra una compagnia d’altri tempi, in cui è dominante il rapporto “personale”: della famiglia azionista con il dg Cesare Caldarelli, del dg con i 1.160 agenti. «Gli agenti sono stati selezionati con gran cura – dicono alla Vittoria –. Sono loro, alla fine, che scelgono i buoni clienti e allontanano quelli cattivi». Una struttura agenziale che è spesso aggredita da altre compagnie ma che tende a mantenere il patto d’onore con la società.
La compagnia è gestita senza strappi. Non ci sono state acquisizioni (anche se dicono di essere sempre pronti a cogliere eventuali occasioni sul mercato), la crescita è avvenuta soltanto per linee interne, e ciò non ha impedito di raddoppiare quasi la raccolta premi, dai 631 milioni del 2008 agli attuali un miliardo e 150 milioni.
Prudenza, sembra essere la parola d’ordine della famiglia Acutis. Anche sul fronte degli utili, che sono distribuiti soltanto in piccola parte.
«Quest’anno – dice Giuseppe Mapelli, analista di Equita – sono stati riconosciuti agli azionisti 20 cent per azione, corrispondenti grosso modo al 2 per cento del valore del titolo. Lo yield è basso ma la compagnia è molto solida e tra le meglio gestite in Italia e l’azione mantiene lo stesso un qualche appeal speculativo perché non si può mai escludere una vendita: chi l’avrebbe mai detto, infatti, che i Pesenti avrebbero venduto Italcementi?».
Completano il quadro di società solida gli investimenti nella tecnologia, «che rendono oggi possibile all’ad – dice Mapelli – di monitorare la situazione in tempo reale».
Nessun difetto, allora? «Se proprio vogliamo trovare un Tallone d’Achille, occorre soffermarsi sugli investimenti immobiliari a sviluppo tra cui l’area ex Portello a Milano dove dal 2011 c’è stata una perdita pre tasse. Che però non impedirà di presentare anche nel 2016 un utile consolidato di 94 milioni».