(di Michele Bocci – la Repubblica)
Trecentomila ricorsi pendenti, spesso per cifre basse. Ma intanto lo stress degli operatori sanitari aumenta
Uno su dieci. Tra coloro che ogni giorno entrano in un ospedale o in una struttura sanitaria, uno su dieci va incontro a un danno, piccolo o grande che sia. Per inquadrare un fenomeno come quello della malasanità, i cui dati ballano e cambiano enormemente a seconda delle fonti, l’unica cosa da fare è affidarsi a un punto di partenza certo. Cioè l’Oms. L’Organizzazione mondiale della sanità stima nel 10% il numero di pazienti colpiti da “eventi avversi” all’interno di strutture sanitarie. In circa la metà dei casi si tratta di fatti non prevenibili e non sempre, inoltre, c’è di mezzo una responsabilità professionale, tanto che a rivolgersi al giudice è solo una piccola parte dei pazienti. Ad esempio rientra nella statistica il malato del day hospital che scivola in reparto e si rompe una gamba. Ma il perimetro in cui si muove il Ddl Gelli è quello, vastissimo.
In Italia vengono ricoverate circa 6 milioni e mezzo di persone ogni anno. Quanti di loro si rivolgono a un giudice, penale o civile, perché ritengono di essere stati vittima di un caso di malasanità? Ecco che i dati si fanno meno chiari. Secondo Ania, l’Associazione nazionale delle imprese assicuratrici, sono presentate circa 34 mila richieste di danni all’anno. Agenas, l’Agenzia delle Regioni, nel suo rapporto annuale sui risarcimenti in via di pubblicazione ne conta circa la metà. Sembra più credibile il primo dei due dati, che oltretutto non tiene conto del fatto che ormai molte Regioni si assicurano da sole perché a causa dei troppi contenziosi hanno difficoltà a trovare compagnie disposte a coprire il rischio. E quindi i loro numeri non entrano tra quelli di Ania, che sono perciò sottostimati quando riferiscono di un contenzioso ogni 200 ricoveri.
Per arrivare al riconoscimento di un danno ci vogliono in media 4 anni ma ci sono molte cause, civili o penali, che richiedono più tempo. Per questo lo stesso Federico Gelli stima che in questo momento in Italia ci siano ben 300mila contenziosi pendenti per malasanità. «La maggior parte dei sinistri hanno importi bassi, anche per questo è necessario sveltire incentivando la conciliazione e così smettendola di scontetare tutti. Medici e pazienti», dice Gelli. Secondo i dati delle Regioni, circa il 45% dei risarcimenti versati valgono meno di 5mila euro, un altro 15% fino a 10mila. Quelli costosi, sopra i 200mila euro, sono meno del 13%. Per arrivare ad ottenere queste cifre spesso si passa dal giudice penale, senza grossi risultati nei confronti dei medici imputati. Solo il 3% viene condannato in via definitiva. «Ciò non toglie che molti di noi abbiano paura e si rifugino nella medicina difensiva, che non vuol dire solo eccedere in trattamenti sanitari, ma anche ometterli». A parlare è Piero Marini del San Camillo di Roma e vicepresidente Acoi, associazione dei chirurghi ospedalieri. «Anche per paura delle conseguenze legali, sempre meno giovani si avvicinano alla nostra disciplina. È mutato il rapporto tra chirurgo e paziente. Invece di essere di complicità è diventato quasi di ostilità». Per Marini il ddl Gelli va approvato il prima possibile. «È importante l’obbligo di assicurazione per le Asl e anche che nel procedimento civile l’onere della prova sia a carico del paziente».
Proprio quella novità invece che non piace al Tribunale dei diritti del malato, associazione da 40mila iscritti. «Il paziente dovrebbe potersi rifare con la struttura sanitaria e con il professionista – dice il coordinatore Tonino Aceti – ma così la seconda strada è impraticabile. E poi molti cittadini agiscono contro quel dottore perché si ritengono lesi da lui. Riguardo alla responsabilità penale, si porrà il problema della differenza tra il regime dei medici e quello di altri professionisti. E poi la strada penale è uno strumento importante per i cittadini anche perché spesso viene interrotta proprio per passare a quella civile. Non va quindi ostacolata».