(di Laura Galvagni – Il Sole 24 Ore)
Intesa Sanpaolo e Generali assieme possono valere il 36% del mercato vita in Italia: il tetto è il 30%
Il dossier Intesa Sanpaolo–Generali arriva sul tavolo della Autorità. E non poteva essere altrimenti data la delicatezza del tema. A confermarlo è stato lo stesso presidente dell’Ivass, nonché direttore generale di Banca d’Italia Salvatore Rossi (nella foto) che ieri a margine dei lavori del 23esimo congresso Assiom Forex ha dichiarato: «Sia come Banca d’Italia che come Ivass siamo molto attenti a queste voci». Al punto che sono state le stesse Authority a chiamare le società coinvolte per avere chiarimenti, come ha sottolineato Rossi stesso: «Noi li abbiamo contattati, gli organismi di vigilanza sia assicurativa che bancaria sono ovviamente molto interessati e molto attenti, naturalmente per i profili di interesse di chi fa vigilanza, ovvero la stabilità dei singoli soggetti e del sistema Italia. Questa è la nostra preoccupazione e su questo siamo naturalmente molto interessati e molto attenti». Naturale che qualsiasi operazione Intesa Sanpaolo intenda promuovere sul gruppo assicurativo dovrà passare sotto la lente delle due autorità, oltre che della Bce. E proprio in ragione di questo Rossi ha chiosato: «Serviranno molte autorizzazioni nel caso in cui l’operazione andrà avanti». D’altra parte, basta considerare alcuni numeri chiave delle compagnie coinvolte per comprendere la rilevanza sistemica dell’eventuale aggregazione: complessivamente le due realtà potrebbero contare su asset totali per oltre 1.200 miliardi di euro. Intesa Sanpaolo, stando ai dati del primo semestre 2016 ha asset per 714 miliardi e Generali per 521 miliardi a fronte di un patrimonio netto rispettivamente di 49 miliardi e di 26 miliardi.
E per restare in tema di Autorità, è assai probabile che l’operazione, se dovesse andare in porto, possa finire all’attenzione anche di chi si occupa di garantire la concorrenza sul mercato: l’Antitrust. A livello europeo non sono immaginabili ostacoli perché, come faceva notare l’agenzia di rating Moody’s in un report a commento del possibile deal, a fronte di una Generali particolarmente diversificata con bene 11 aree (di cui tre principali, ossia Italia, Francia e Germania) che contribuiscono all’ammontare globale dei premi, Ca’ de Sass ha solo tre zone di riferimento in materia di asset, ossia Italia, Egitto e Paesi dell’Est.
Diversamente sul paese potrebbe crearsi una sovrapposizione che con ogni probabilità porterebbe all’intervento dell’Antitrust. Non tanto sul comparto danni dove di fatto Intesa Vita al momento non è ancora riuscita a costruirsi una base solida (ha circa 300 milioni di premi stando agli ultimi dati Ania contro i 6 miliardi di Generali), quanto nel vita. Analizzando gli ultimi dati disponibili dell’Ania, l’associazione delle compagnie assicurative, Intesa Vita ha chiuso il 2015 con premi complessivi per 22 miliardi pari a una quota di mercato nel ramo vita del 20% circa. Generali, con un portafoglio vita di circa 19 miliardi, si è ritagliata una fetta di mercato pari al 16%. Sommate, dunque, le due realtà avrebbero una presenza ben superiore al 30%, quota limite stando alle ultime interpretazioni dell’autorità garante per il mercato. Nel 2012, infatti, quando il gruppo Unipol portò a termine l’acquisizione di Fondiaria Sai, l’Authority impose alla neo nata compagnia di dismettere un sostanzioso pacchetto di asset per fare in modo che non superasse né a livello regionale né a livello nazionale la quota del 30%. E la possibile aggregazione tra Intesa Vita e Generali Italia potrebbe valere circa un 36% del mercato.