(di Marco Barbieri – Il Messaggero)
Se si somma il costo sanitario pubblico e quello privato (out of pocket) si arriva a stento a 145 miliardi di euro: molto meno di quello che impegnano i Paesi europei. Fondi, mutue, polizze private devono integrare, sostituire, non sovrapporsi al Ssn
La spesa sanitaria italiana vale all’incirca 145 miliardi all’anno, se si sommano i 113 (o 111) miliardi del Sistema sanitario nazionale (Ssn) ai circa 34-35 miliardi della spesa privata (out of pocket: quello che esce direttamente dalle tasche dei cittadini italiani al netto della fiscalità generale). Tanti soldi? Sì, ma nel suo complesso questa spesa è largamente inferiore a quella dei Paesi europei con noi confrontabili.
Il progressivo distacco dell’Italia dagli altri Paesi si misura non solo in termini di spesa assoluta (corrente pubblica + privata) ma anche in termini di percentuale media (-28,7% rispetto alla media Ue, intesa come gruppo dei 14) e di percentuale del Pil: 8,5% per l’Italia contro il 10,2 dei Paesi Eu14. Malgrado la stagnazione del Pil, l’impegno degli italiani per la propria salute rimane sotto il 9% (tendendo a ridursi ancora), mentre Eu14 ha ormai superato 1il 10%: differenza che è in percentuale rilevante, ma ancora di più in termini nominali, ricordando che in Eu14, abbiamo anche Paesi meno ricchi dell’Italia come Grecia, Portogallo e Spagna, e quindi lo scarto è mitigato dai minori livelli di spesa di questi ultimi Paesi.
Uno dei fattori che spiegano questa bassa spesa sanitaria è la bassa quota della spesa out of pocket che viene intermediata da mutue e assicurazioni. Dei 34,5 miliardi che gli italiani spendono di tasca propria in aggiunta a quelli che finiscono nel Ssn, solo 4-4,5 miliardi sono intermediati. Poco più del 3%, contro una media Ocse di quasi l’8%, e a fronte di picchi del 15% in Francia e del 10% in Germania.
Spesa di tasca propria
La copertura del rischio salute attraverso l’intermediazione assicurativa è uno dei fattori che rallentano la spesa sanitaria degli italiani. Tendenza ineluttabile finché le polizze di sanità integrativa si propongono a individui. E’ l’approccio di copertura collettiva che può cambiare le cose: ed ecco che anche su questo fronte la nuova stagione del welfare aziendale può fare molto. Si stima che siano circa 10-12 milioni gli italiani – lavoratori e i loro familiari – che godono di una polizza sanitaria integrativa contrattata in azienda, anche se si tratta di una raccolta media pro-capite assai modesta.
Il mercato della sanità integrativa sta diventando uno dei più dinamici nel volano di crescita rappresentato dal welfare aziendale e contrattuale. La legge di Bilancio 2017 ha consentito di andare oltre il plafond di 3.615 euro, attingendo quote utili alla sanità integrativa anche dai premi di risultato. Questo giustifica il dinamismo delle compagnie specializzate come Rbm Salute o come Unisalute (che pur fa parte del Gruppo generalista UnipolSai), o l’attenzione che compagnie nate per rivolgersi al mercato della previdenza complementare, stanno dirigendo al segmento salute. Un nome per tutti: Poste Vita che sotto la guida di Bianca Maria Farina (che ha assunto anche la presidenza di Ania, l’associazione di categoria delle compagnie di assicurazione) ha lanciato poco meno di un anno fa PosteSalute. La crisi, con la sua lunghissima congiuntura negativa, porta lo sguardo sul breve medio termine invece che sul lungo: quindi meno previdenza e più sanità.
Fondi e polizze
La Fondazione Gimbe (Gruppo Italiano per la Medicina Basata sulle Evidenze) di Bologna, dopo 3 anni di studi, consultazioni e analisi indipendenti nell’ambito della campagna #salviamoSSN ha presentato in Senato il “Rapporto per la sostenibilità del SSN 2016-2025” che, escludendo un piano occulto di smantellamento del Ssn, ha fermamente ribadito che per salvare il sistema sanitario del nostro Paese è indispensabile rimettere la Sanità e, più in generale, il Welfare al centro dell’agenda politica. Il Rapporto ha quantificato per il 2025 un fabbisogno per il Ssn di 200 miliardi.
In questo contesto la Fondazione Gimbe di Bologna ha istituito l’Osservatorio sulla sostenibilità del Ssn per monitorare in maniera continua e sistematica azioni e responsabilità di tutti gli stakeholder, con il fine ultimo di ottenere il massimo ritorno in termini di salute del denaro pubblico investito in sanità. Il confronto tra gli attori protagonisti dello scenario politico sanitario italiano ha fatto emergere più che mai l’esigenza di intervenire e tra le proposte rilanciate si fa sempre più strada l’istituzione di un secondo pilastro sanitario aperto, estendendo a tutti i cittadini la possibilità di aderire, grazie anche ad un meccanismo di incentivazione fiscale, ai Fondi Sanitari ed alle Polizze Salute attualmente appannaggio dei soli lavoratori dipendenti.