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La parabola del plurimandato a dieci anni dalla Legge Bersani: dall’intentio Legislatoris all’intentio legis

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Con un contributo di approfondimento e analisi sul decennale del Codice delle Assicurazioni Private (collegato al decennale della legge Bersani – 40/2007 – e all’istituto del plurimandato) torna sulle pagine di Intermedia Channel l’Avv. Ivan Dimitri Calaprice, uno dei nostri migliori “editorialisti inconsapevoli”

Nel maggio 2016 una commendevole iniziativa dell’Ufficio Legale dell’IVASS raccoglieva in un Quaderno il contenuto degli interventi espressi nei seminari svoltisi in occasione del primo decennio del Codice delle Assicurazioni Private.

Il documento, tuttora disponibile sul sito web dell’Autorità di Vigilanza sul settore assicurativo, dichiarava nel suo incipit quale fosse stata la solenne mozione d’ordine dell’iniziativa: “Gli incontri di studio hanno avuto un taglio operativo, più che meramente commemorativo, affrontando alcuni argomenti attraverso i quali saggiare la tenuta del corpo normativo e individuare le possibili tendenze future”.

In questo stralcio della prefazione si può senz’altro leggere – a parere di chi scrive – la lucidità della migliore prospettiva possibile che il Legislatore dovrebbe porsi quale cimento quotidiano: verificare onestamente se, come e a che prezzo le regole che esso ha confezionato e reso obbligatorie per un certo comparto abbiano effettivamente centrato l’obiettivo cui esse erano proiettate.

Se, dunque, la sua intenzione si sia, alfine, sposata con quella del testo e del suo “percepito sociale” da chi venga chiamato quotidianamente ad interpretarlo e ad applicarlo.

Uno dei più noti filosofi tedeschi del novecento, Hans Georg Gadamer, nella sua opera più importante, con un’espressione suggestiva ed efficace indicava nella “fusione degli orizzonti” dell’interprete di un testo e del testo stesso – inteso come autonomo corpo di idee perennemente dinamiche in quanto oggetto di più interpretazioni nel corso dei tempi – l’ obiettivo ultimo di una genuina opera di lettura e di esegesi.

La prefazione del documento del Regolatore pare evocare inconsapevolmente l’intuizione gadameriana,  giacchè invita a guardare un corpo e non un certificato che ne attesti burocraticamente lo stato di salute,  come se il Codice delle Assicurazioni fosse, per l’appunto, un organismo vivente e non un mucchietto di spoglie da disseppellire per una – intuibilmente poco attrattiva – celebrazione enfatica delle sue (discutibilissime) virtù.

L’invito del 2016 era dunque rivolto a ricordare cos’era dunque il Codice delle Assicurazioni nell’intentio Legislatoris e come eventualmente si fosse trasfigurato nell’intentio legis.

In altri termini: se le aspettative alla vigilia della sua emanazione avessero poi – nel fluido scorrere delle pronunce del diritto vivente – garantito quella “fusione di orizzonti” che qualunque professionista chiamato a sfogliarne le pagine vorrebbe poter testimoniare se tutta la pratica e il diritto assicurativo non apparissero, invece, così irrimediabilmente arzigogolati, contraddittori  e irresoluti.

Ciò che colpisce – al di là di qualunque osservazione tecnica sulle qualità e i difetti del nostro Codice – è la circostanza che proprio l’Autorità che da esso è stata legittimata a dettagliarne i contenuti abbia avvertito – nel decennale della sua entrata in vigore – non la burocratica necessità di enfatizzarne l’ineludibile centralità nei disciplinari operativi di chi i prodotti assicurativi li crea o li colloca, ma, al contrario, la spinta critica a mettere sul tavolo di discussione la sua “tenuta” e a presidiare un consesso di studio sulle possibili traiettorie delle idee che del Codice hanno funto da principi ispiratori.

Per avviare – volendo attingere dal poco entusiasmante registro della politica – una sorta di fact checking, ovvero un’analisi controfattuale della aderenza fra quanto il Legislatore aveva previsto e quanto la legge è finita con il prevedere nelle sue molteplici espressioni applicative.

Il tema è accattivante e l’utilità pratica di queste istanze istituzionali è tanto più percettibile quanto più involge e rielabora sistemi di regole che vengono meccanicamente associati alle polverose categorie del diritto e non – come dovrebbe essere – alla sacrosanta necessità sociale di godere di presìdi etici e finanziari nello  svolgimento e nella fruizione dei servizi del circuito assicurativo.

Un esempio, davvero paradigmatico, di quanto – talvolta – principi di reale calibro tecnico si annacquino nella percezione errata di una loro scarsa rilevanza è l’istituto del plurimandato.

Proprio pochi giorni fa – infatti – un anniversario non meno trascurabile rispetto a quello del Codice delle Assicurazioni si è consumato – invece – in una gelida indifferenza collettiva.

Ancora un decennale, tuttavia molto più che “trascorso in sordina”.

Di più. Inesorabilmente rimosso.

Il 3 aprile 2007, infatti, entrava in vigore la c.d. legge Bersani, ovvero la Legge 2 aprile 2007, n. 40 rubricata “Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 31 gennaio 2007, n. 7, recante misure urgenti per la tutela dei consumatori, la promozione della concorrenza, lo sviluppo di attività economiche e la nascita di nuove imprese”.

L’art. 5 di quella legge – come noto– estendeva il divieto di apposizione di clausole contrattuali di distribuzione esclusiva, già previsto precedentemente per la Rc auto, a tutti i rami danni.

Nel postulare la regola, veniva anche richiamato l’art.8 della c.d. prima lenzuolata Bersani (Legge 4 agosto 2006, n. 248, “Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223, recante disposizioni urgenti per il rilancio economico e sociale, per il contenimento e la razionalizzazione della spesa pubblica, nonche’ interventi in materia di entrate e di contrasto all’evasione fiscale”) ove al comma III si legge un importante richiamo alla legge 287/1990, base normativa di valenza strategica in materia antitrust.

Da circa dieci anni, dunque, la nozione di “esclusività” – che in sé rappresentava fulcro e sigillo delle diverse identità agenziali distinte nel vecchio Accordo economico collettivo del 2003 – è diventata un veterologismo da dimenticare, anzi da cancellare del tutto.

E tutto per una ragione di soverchia e più nobile importanza: la necessaria libertà del mercato.

Qualche settimana fa, chi diede il nome a quella legge ha commentato: “Ricevo saluti e brindisi per i dieci anni di surroga dei mutui. La cosa più bella è governare mettendosi dalla parte della vita comune dei cittadini proteggendoli non dal mercato, ma dalle inaccettabili prepotenze del mercato”.

Ecco, non pare invece registrarsi alcun saluto o brindisi né informale né istituzionale nel decennale del divieto di formalizzazione contrattuale del monomandato.

Le spiegazioni del fenomeno possono essere le più svariate:

  1. la categoria degli agenti – in questa difficile congiuntura – ha poco da festeggiare e molto di cui crucciarsi;
  2. l’istituto del plurimandato così come è non funziona perché non è sostenuto da efficaci azioni di facilitazione per i fini di liberalizzazione cui tende;
  3. permangono complesse situazioni di non disincagliabile ancoraggio psicologico di fasce agenziali che della loro fedeltà ad un’unica mandante hanno fatto un tratto distintivo o anche qualcosa di più: una luccicante medaglia sul petto.

Insomma, la questione rappresenta proprio uno di quei casi in cui – per dirla, irriverentemente, con Gadamer – la fusione degli orizzonti di chi è chiamato ad applicare la legge 40 (le compagnie) e di chi potrebbe beneficiare di una sua estensiva applicazione (gli agenti e gli altri “distributori di servizi assicurativi” per citare la pur infelicissima contrapposizione utilizzata dall’art. 8 della prima lenzuolata Bersani) non è mai avvenuta.

Qui gli orizzonti appaiono inesorabilmente più lontani e i rispettivi intenti veleggiano verso territori agli antipodi.

Chi segue attentamente le vicende agenziali sa bene che appena tre anni fa (siamo nel maggio 2014) l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato aveva provato a stimolare il mercato richiamando talune compagnie (asseritamente autrici di azioni volte a disincentivare l’assunzione di nuovi mandati dalle componenti delle proprie reti) ed inducendole a presentare dettagliatissimi impegni.

Questi impegni – in virtù di una prerogativa prevista propria dalla legge 287/1990, citata nella prima Bersani – sono stati resi vincolanti e dunque dotati di “forza di legge” sicchè, se venissero violati (la competenza sul tema spetterebbe ancora all’Antitrust che potrebbe essere sempre chiamato a valutare prove sul perpetrarsi di azioni disincentivanti del plurimandato) potrebbero provocare irreparabili scosse telluriche nei bilanci delle compagnie.

L’art. 14 ter, comma 2, della legge 287/1990 prevede infatti una sanzione catastrofica del 10% del fatturato (si badi: non dell’utile netto) per chi violi gli impegni assunti innanzi alla detta Autorità così dando in mano alle singole componenti delle reti una vera e propria arma di distruzione di massa della cui esistenza non è dato comunque registrare alcuna consapevolezza fra gli agenti.

Ad ogni buon conto, anni dopo l’istituzionalizzazione della portata valoriale del plurimandato in ottica concorrenziale, il plurimandato sembra non suscitare alcuna riflessione né “commemorativa” – per citare IVASS a proposito delle abdicate e deprecate tecniche celebrative in occasione del decennale del CAP – né sbrigativamente “formalistica”.

Il tutto in un contesto in cui l’AGCM – nel ridetto provvedimento – ha affermato solennemente la circostanza che “gli impegni consentono di rimuovere la percezione di temporaneità e di rischio all’operatività per conto di più compagnie da parte degli agenti, consentendo loro di investire su nuovi assetti organizzativi e imprenditoriali in maniera duratura e indipendente dalla mandante esclusivista, anche con un portafoglio di polizze assicurative più completo a beneficio dei clienti assicurati”.

Peraltro val la pena di notare come proprio il concetto di potenziale nocività del monomandato dell’intermediario avesse ispirato una riflessione dell’Antitrust ben sette anni prima,  allorchè – a commento della prima legge Bersani – aveva osservato in una segnalazione al Parlamento che: “Dopo oltre un decennio dalla liberalizzazione del settore, i mercati italiani dell’assicurazione auto e danni sono ancora caratterizzati dall’assoluta prevalenza degli agenti monomandatari. Ciò ha creato un contesto di scarsa trasparenza che, data la particolare complessità del prodotto assicurativo, ha reso eccessivamente onerosa per il consumatore l’attività di ricerca del prodotto maggiormente rispondente alle proprie esigenze, determinando un aumento del potere di mercato delle imprese e generando così rilevanti ostacoli all’efficace operare dei meccanismi di mercato”.

Il plurimandato, dunque, stimola la concorrenzialità nel mercato e annichilisce velleità prevaricatrici dei suoi protagonisti ed i suoi primi dieci anni di legittimità formale meriterebbero, indubbiamente, se non prix et cotillons, quantomeno una puntuale e ragionata valutazione sul suo “stato di salute”.

Proprio come IVASS ha fatto per il decennale del Codice delle Assicurazioni.

Se appare ancora utopica, infatti, una “fusione” di orizzonti,  così non si può dire, certamente, di quella di pragmatici interessi fra mandanti e mandatari posto che non è affatto detto che l’utilità del consumatore debba necessariamente confliggere con l’utile dei suoi interlocutori. Anzi.

Avv. Ivan Dimitri Calaprice (in collaborazione con Intermedia Channel)

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