(di Sergio Bocconi – Corriere della Sera)
Il presidente del Leone di Trieste: contano qualità e risultati, vince chi punta sull’innovazione
«La sfida non si giocherà unicamente sulle dimensioni, ma anche su qualità e risultati e sulla loro sostenibilità nel tempo. Priorità è diventare più efficienti e innovativi». Il presidente delle Generali, Gabriele Galateri di Genola (nella foto, di Giuliano Koren), che domani aprirà a Trieste l’assemblea dei soci, è convinto che, pur nel difficile scenario, non manchino spiragli e opportunità. «Valorizzeremo al massimo le nostre potenzialità».
Non eccede in ottimismo?
«Considero i segnali incoraggianti provenienti dall’economia mondiale e, seppur in tono minore, da quella italiana. Le stime Fmi per il 2017 lasciano intravedere quasi l’avvio di una fase espansiva. E i piccoli passi del nostro Paese confermano la giusta direzione. Obbligatorio però è proseguire nelle riforme».
Sembrano prevalere preoccupazioni geopolitiche.
«Eccome: la “sorpresa” inglese, con la Brexit e le nuove elezioni, il neoprotezionismo Usa, i prossimi risultati del ballottaggio francese. Però i mercati hanno superato prove, come la Brexit o la vittoria di Trump, che avrebbero potuto far temere impatti diversi».
I tassi? Restano a terra.
«Ancora oggi il 46% dei bond governativi europei ha rendimento negativo. E sebbene non manchino spiragli per banche e assicurazioni la crescita in queste condizioni è la sfida più grande. Tuttavia non bisogna dimenticare l’aumento del risparmio gestito e fenomeni come l’invecchiamento della popolazione: per le compagnie rappresentano attività con grandi potenziali, margini adeguati e basso assorbimento di capitale. E poi c’è il settore salute e non mancano aree di sotto-assicurazione: in Italia è soggetto a rischi alluvionali il 45% delle abitazioni e le coperture attive sono oggi quasi inesistenti».
Come e dove volete dirigere il vostro impegno?
«Il focus è la crescita sostenibile. Capace cioè di garantire ad azionisti e stakeholder un trend di sviluppo con attenzione, oltre che a redditività e dividendi, anche ad ambiente, dipendenti, in particolare i più giovani, innovazione e governance. Il consiglio ha approvato la Carta degli impegni di sostenibilità del gruppo, che declina programmi, temi e soggetti ai quali ci si rivolge.
Qualche indicazione?
«Abbiamo sottoscritto gli impegni di Cop21 a Parigi: non siamo un’industria ma ridurremo del 20% le emissioni di gas a effetto serra entro il 2020. E basiamo le strategie di investimento anche su criteri ambientali, sociali e di governance che ispirano le linee guida in materia di responsabilità sociale attraverso le quali identifichiamo, valutiamo e monitoriamo gli investimenti per tutti i nostri portafogli. Il tutto con una visione di lungo periodo per crescere in maniera sostenibile. Sui giovani, 21 mila dei 74 mila dipendenti hanno meno di 34 anni, abbiamo programmi di tutorship senior-junior e master in università. Puntiamo poi a prodotti che incentivino comportamenti virtuosi, come l’attenzione alla salute o una guida migliore. Nell’innovazione la spinta è a benefici da big data e connettività per clienti e rete di agenti. Infine la governance: board a 13 componenti, con 8 indipendenti e 5 donne: diverse sensibilità e competenze garantiscono dialettica».
A proposito di governance, dopo l’uscita di Minali arriva un nuovo direttore generale?
«Le decisioni sulla governance spettano al consiglio, in accordo ovviamente con l’amministratore delegato».
Su quali mercati puntate?
«Focus è l’Europa, Est compresa dove ci sono ancora importanti potenzialità. Poi puntiamo anche selettivamente su Asia e Sudamerica, con prospettive nel lungo periodo».
E su quali business?
«Il nostro core business, quello assicurativo».
Ipotesi di crescita esterna?
«Qualora si presentassero occasioni le valuteremo con attenzione. Puntiamo però a essere la compagnia migliore, non necessariamente la più grande. Il tema dimensioni non è una priorità, in prospettiva abbiamo una strategia, presentata da Donnet, che stiamo valorizzando correttamente e accelerando».
Secondo alcuni però siete “prede” potenziali.
«A parte il fatto che il titolo negli ultimi mesi ha performato meglio dei competitor, non ci sentiamo in tale posizione e comunque non è tema che ci preoccupa».
È stato però rimarcato che le Generali devono restare italiane. Anche per il maxiportafoglio di titoli di Stato.
«Siamo italiani e tali intendiamo rimanere. Dopodiché più è ampio l’azionariato meglio è: il 40% è detenuto da fondi internazionali». .
I primi soci, Mediobanca, Caltagirone, Del Vecchio e De Agostini, sono italiani.
«Certo, e ne siamo contenti. Ma se domani un fondo estero si aggiungesse al nostro azionariato stabile sarebbe il benvenuto. I bond governativi poi sono a fronte degli impegni nei confronti degli assicurati. Ciò cambia completamente la logica di valutazione».
Il vostro board non ha deleghe per aumenti di capitale. Non vi sottrae flessibilità?
«La nostra logica è semplice: hai un progetto? Convochi un’assemblea. Il rapporto con gli azionisti deve essere trasparente e diretto. E nel caso si presentasse un’occasione di crescita i soci non ci farebbero mancare il sostegno».