(di Laura Galvagni – Il Sole 24 Ore)
Sul tavolo l’ipotesi della conversione del subordinato Generali ma Malacalza frena. Nell’ultimo cda scontro in consiglio: con l’ad rapporti «tesi»
Sale la tensione in Carige in vista del delicato appuntamento con l’aumento di capitale da 450 milioni. All’interno del consiglio di amministrazione si sarebbero formate due anime distinte rispetto alle ipotesi di lavoro oggi sul tavolo. Tanto che nell’ultimo board, di fatto un cda ordinario e di preparazione delle prossime tappe, il confronto tra le parti sarebbe stato particolarmente serrato e ora, il rischio, è che alla prossima riunione del 30 maggio si possa consumare la spaccatura.
Tutto nasce, stando a quanto si apprende,dalla volontà di considerare tra le opzioni percorribili, seppure come estrema ratio, quella di convertire in equity il bond subordinato che in parte fa capo a Generali, per circa 80 milioni. L’idea attorno alla quale si starebbe ragionando sarebbe sostanzialmente di prendere in considerazione l’ipotesi nel caso in cui non dovesse andare in porto l’iniezione di liquidità. Nulla, al momento, fa pensare che ciò possa accadere, complice il fatto che tre advisor di peso come Deutsche Bank, Goldman Sachs e Credit Suisse si siano impegnati sul dossier. Tuttavia, parte del consiglio ritiene comunque opportuno garantire alla banca una sorta di via di fuga, un paracadute, nel caso in cui il percorso dell’aumento alla fine non dovesse essere netto.
Il socio forte, però, ossia Vittorio Malacalza, che detiene il 18% di Carige, non è di questo avviso e con lui si sarebbero schierati anche gli altri azionisti Spinelli e Volpi. Così nelle ultime riunioni l’imprenditore avrebbe fatto sentire la propria voce. Al punto che, si dice, il rapporto tra lui e l’amministratore delegato, Guido Bastianini, si sarebbe guastato. Qualcuno è arrivato a ipotizzare che Malacalza vedrebbe di buon occhio un passo indietro del manager anche perché sarebbe assai complicato imporre oggi l’uscita all’ad. Al momento, però, all’ordine del giorno della riunione del prossimo 30 maggio non è previsto nulla di tutto ciò: sul tavolo ci sono aumento, cartolarizzazione e scissione. E difficilmente potrebbe essere inserito in agenda un passaggio di tale portata nella voce “varie ed eventuali”. In più, l’amministratore delegato è completamente impegnato nella definizione del piano di ristrutturazione della banca e non avrebbe alcuna intenzione di lasciare il lavoro a metà. Ciò non toglie che, nelle attese degli osservatori, il board della prossima settimana si potrebbe presentare come un appuntamento particolarmente caldo.
Anche perché la tabella di marcia è fitta, le decisioni da prendere sono tante e il tempo in questo senso è fondamentale, complice anche il fiato sul collo della vigilanza. Al momento, la priorità è concludere entro il 30 giugno l’operazione di cessione di 950 milioni di Npl con la garanzia statale (Gacs). Quindi si deve dar vita al progetto di scissione con la creazione del veicolo in cui far confluire circa 2,4 miliardi di non performing loans. Bastianini, in passato, ha spiegato che punta a definire il consolidamento del veicolo entro la fine del 2017 in modo tale da poter raggiungere in anticipo i target della Bce. La cui richiesta è che da 7,3 miliardi circa di crediti deteriorati l’istituto scenda a 5,5 miliardi entro fine 2017, a 4,6 entro fine 2018 e a 3,7 entro fine 2019. Nel mezzo, va convocata l’assemblea per l’aumento di capitale da 450 milioni e in quest’ottica l’ambizione è quella di tenere l’assise al più tardi entro luglio. Sullo sfondo, però, va stabilito cosa fare con il subordinato Generali. In merito, va segnalato che l’eventuale conversione proietterebbe la compagnia di Trieste nel novero dei soci forti dell’istituto con una quota che alcuni stimano prossima al 17-18% del capitale. Un’idea, peraltro, che certamente non avrebbe il gradimento del Leone. In passato, più volte, sebbene in assenza di contatti diretti tra il gruppo assicurativo e la banca, Generali ha ribadito che in quanto obbligazionista riveste il ruolo di creditore e tale vuole restare. Insomma, potendo eviterebbe volentieri di ragionare su qualsiasi ipotesi di trasformazione del credito in equity. E Malacalza che tanto ha speso, sia in termini economici che di impegno personale sull’istituto, tutto vorrebbe fuorché veder diluita la propria posizione.