Opinione della Settimana

Danno non patrimoniale, per i parenti non servono prove rigorose

Giudice - Sentenza Imc

(di Maurizio Caprino – Quotidiano del Diritto)

I parenti stretti di chi riporta gravi ferite in un incidente hanno diritto a un risarcimento per il danno non patrimoniale patito personalmente senza dover dare una prova rigorosa della loro sofferenza: basta che vi siano elementi logici che possano portare il giudice a ritenere che tale sofferenza c’è stata. Così la Terza sezione civile della Cassazione, con la sentenza 17058/2017, ha rinviato alla Corte d’appello di Potenza il caso di un padre che si era visto negare il risarcimento personale legato a un sinistro stradale del 1991 nel quale il figlio, mentre era alla guida di una moto scontratasi con un’auto, aveva riportato un’invalidità permanente del 25 per cento.

Ne era nato un lungo contenzioso, fatto di ricorsi e controricorsi. Non solo su responsabilità e risarcimenti che riguardavano direttamente i due conducenti coinvolti nell’incidente, ma anche sulla richiesta del padre del motociclista di vedere riconosciuto il danno non patrimoniale legato alla sofferenza per il ferimento e il ricovero del proprio figlio, all’epoca ancora minorenne.

Un danno su cui all’epoca dei fatti c’era incertezza. Ma poi, come ricorda la sentenza depositata ieri, le Sezioni unite della Cassazione si erano pronunciate in senso affermativo (sentenza 9556/2002).

Nel giudizio di appello aveva vinto la compagnia assicuratrice, secondo la quale il padre non aveva dato prova della sua sofferenza. Ora, secondo la Cassazione, la Corte d’appello avrebbe dovuto desumere il diritto del padre da tutta una serie di elementi e non da una vera e propria prova.

Infatti, «consistendo in un moto dell’animo, ben difficilmente» un danno del genere potrà essere dimostrato «in concreto» con le prove cosiddette storiche, «per l’ovvia ragione che solo in interiore homine habitat veritas». Dunque, bisogna ricorrere alle cosiddette prove critiche, «prima fra tutte» quella presuntiva (articolo 2727 del Codice civile).

Per la Cassazione, questa prova non consiste in un «acritico automatismo» che fa sempre discendere il diritto al risarcimento dal fatto di essere prossimo congiunto della vittima, ma si raggiunge tenendo conto di altri fatti emersi durante il procedimento e non contestati.

Nel caso di specie, si tratta della minore età della vittima, del suo ricovero in ospedale, delle sue lesioni non lievi, dell’invalidità temporanea assoluta protrattasi per i primi quattro mesi dall’incidente e del fatto che padre e figlio normalmente vivevano nella stessa casa. Alla luce di tutto questo, la Cassazione ritiene si possa desumere che il padre «si mise in allarme per la salute del figlio». Un ragionamento che anche i giudici d’appello avrebbero dovutofare e invece hanno trascurato, pur riguardando fatti decisivi. Di qui il rinvio alla Corte l’appello in diversa composizione.

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