Secondo quanto evidenzia l’ultimo rapporto dell’Istituto, il reddito medio delle famiglie italiane rilevato dall’indagine sul 2016 nel 2016 è cresciuto del 3,5% rispetto a quello rilevato nel 2014, ma è ancora inferiore dell’11% rispetto al picco toccato nel 2006. È aumentata la disuguaglianza nella distribuzione dei redditi, tornata in prossimità dei livelli prevalenti alla fine degli anni novanta del secolo scorso ed è aumentata anche la quota di individui a rischio di povertà: l’incidenza di questa condizione, che interessa perlopiù le famiglie giovani, del Mezzogiorno o dei nati all’estero, è salita al 23%. La ricchezza netta media e quella mediana sono diminuite del 5 e 9% a prezzi costanti
Bankitalia ha pubblicato i risultati della XXXVII edizione dell’indagine – riferita al 2016 – sui bilanci delle famiglie italiane. Secondo le informazioni riportate dagli oltre 7.000 nuclei familiari intervistati, il reddito annuo familiare, al netto delle imposte sul reddito e dei contributi sociali, è stato in media pari a circa 30.700 Euro (30.600 Euro nel 2014). Al netto della variazione dei prezzi è un valore sostanzialmente analogo a quello rilevato nelle indagini sul 2012 e sul 2014 ma ancora inferiore di circa il 15% a quello registrato nel 2006, prima dell’avvio della crisi finanziaria globale.
Tra il 2014 e il 2016 il reddito medio familiare è stato sospinto da quello da lavoro dipendente che ha beneficiato della crescita del numero di percettori e dell’aumento delle retribuzioni medie annue pro capite. Per contro, spiegano da Bankitalia, sono diminuiti, ancorché in misura contenuta, i redditi da lavoro autonomo, da proprietà e da pensioni e trasferimenti; in quest’ultimo caso, il calo è derivato dalla riduzione della quota di famiglie che li percepiscono, a fronte di una crescita dei loro valori medi.
Considerando le sole famiglie in cui il capofamiglia ha meno di 65 anni, la quota di persone che vivono in famiglie senza alcun percettore di reddito da lavoro è diminuita nel 2016 all’8,7 per cento dal 10,4 nel 2012; rimane tuttavia di 1,2 punti superiore al valore nel 2006. Tra il 2006 e il 2016, la quota di persone che vivono in nuclei familiari con due o più percettori di redditi da lavoro è diminuita dal 50,7 al 45,4 per cento, anche per effetto di fattori demografici. Nel Mezzogiorno, il 13,3 per cento degli individui vive in famiglie senza alcun percettore di reddito da lavoro rispetto al 6,1 nel Nord e 6,9 nel Centro.
A fronte della sostanziale stabilità del reddito medio familiare in termini reali, il reddito medio equivalente, una misura che meglio approssima il benessere economico individuale tenendo conto della dimensione familiare e delle economie di scala che ne derivano, è salito a circa 18.600 Euro nel 2016, il 3,5 per cento in più rispetto a due anni prima, dopo essere diminuito, ancorché con diversa intensità, tra il 2006 e il 2014.
L’andamento favorevole del reddito equivalente si è accompagnato con la ripresa, a tutti i livelli di reddito, della quota di famiglie che hanno dichiarato di essere riuscite, nel complesso dell’anno, a risparmiare parte del loro reddito (in media, dal 27 al 33%).
Tra le famiglie appartenenti al 30% con reddito più basso è però cresciuta anche la quota di quelle che hanno dichiarato di aver fatto ricorso ai risparmi o di essersi indebitate per finanziare la propria spesa. È inoltre diminuita la quota di famiglie che nel 2017, al momento dell’intervista, hanno dichiarato di arrivare a fine mese con difficoltà (al 31 dal 35% della rilevazione di due anni prima); il calo è stato più evidente tra le famiglie con redditi al di sotto di quello mediano. Nel loro complesso, le famiglie si attendevano un andamento ancora positivo del loro reddito nel corso del 2017: la quota di nuclei che ne prevedevano una crescita superiore a quella dei prezzi è raddoppiata all’8%, mentre è diminuita di oltre 8 punti, al 44%, quella di famiglie che ne prefiguravano una flessione.
La crescita del reddito equivalente reale non è stata uniforme tra gruppi socio-demografici. La ripresa ha interessato, pur in misura difforme, i nuclei con capofamiglia (ovvero il componente con il reddito maggiore) fino a 55 anni e con oltre 65 anni e quelli dei lavoratori dipendenti e dei pensionati. È invece proseguita la caduta dei redditi equivalenti per le famiglie con capofamiglia tra i 56 e i 65 anni e per quelle dei lavoratori autonomi, il cui livello resta tuttavia in media più elevato.
L’indice di Gini del reddito equivalente (misura sintetica di disuguaglianza che varia tra 0 e 1) nel 2016 è salito al 33,5% (dal 33% del 2012 e del 2014). La crescita della disuguaglianza si è accompagnata a un ulteriore aumento, a circa il 23 per cento, un livello molto elevato, della quota di individui con reddito equivalente inferiore al 60% di quello mediano, una soglia convenzionalmente usata per individuare il rischio di povertà e pari nel 2016 a circa 830 Euro mensili. L’incidenza di questa condizione è più elevata tra le famiglie con capofamiglia più giovane, meno istruito, nato all’estero, e per le famiglie residenti nel Mezzogiorno.
Nei dieci anni precedenti, seguiti alla crisi finanziaria globale, il livello della disuguaglianza, misurato dall’indice di Gini, è aumentato di 1,5 punti percentuali riportandosi in prossimità dei livelli toccati alla fine degli anni novanta del secolo scorso (34,3%); per effetto della prolungata caduta dei redditi familiari, il rischio di povertà è più elevato rispetto a quel periodo, ma inferiore per i nuclei il cui capofamiglia ha più di 65 anni o è pensionato.
La ricchezza
Alla fine del 2016 le famiglie italiane disponevano in media di una ricchezza netta, costituita dalla somma delle attività reali e delle attività finanziarie al netto delle passività finanziarie, di circa 206.000 Euro (218.000 Euro nel 2014). Il valore mediano, che separa la metà più povera delle famiglie dalla metà più ricca, era significativamente inferiore (126.000 Euro, contro i 138.000 Euro del 2014), riflettendo la forte asimmetria della distribuzione.
Secondo l’indagine, la quota di ricchezza netta detenuta dal 30% più povero delle famiglie, in media pari a circa 6.500 Euro, è l’1%; tre quarti di queste famiglie sono anche a rischio di povertà. Il 30% più ricco delle famiglie, di cui solo poco più di un decimo è a rischio di povertà, detiene invece circa il 75% del patrimonio netto complessivamente rilevato, con una ricchezza netta media pari a 510.000 Euro. Oltre il 40% di questa quota è detenuta dal 5% più ricco, che ha un patrimonio netto in media pari a 1,3 milioni di Euro.
Le attività reali (immobili, aziende, oggetti di valore) rappresentano l’87% del patrimonio lordo delle famiglie italiane rilevato nell’indagine. Il loro valore, perlopiù determinato dalla casa di residenza, diviene però apprezzabile dal quarto decimo più povero – dove è in media pari a circa 70.000 Euro – e sale fino a quasi 800.000 Euro nella media del decimo più ricco delle famiglie. Per queste famiglie, la quota di attività finanziarie sul patrimonio lordo oscilla attorno al 10%, avvicinandosi al 20% solo per il 5% più ricco.
Per contro, circa il 70% delle famiglie appartenenti al decimo più povero della popolazione non detiene attività finanziarie e circa metà non possiede attività reali; per chi le detiene, i valori sono contenuti (in media pari a circa 1.500 e 2.500 Euro, rispettivamente).
Le passività finanziarie delle famiglie italiane rappresentano meno del 5% del loro patrimonio lordo; la quota è di circa il 18% se riferita alle sole famiglie indebitate (circa il 21% del totale). Il valore medio delle passività di queste ultime è abbastanza omogeneo lungo gran parte della distribuzione della ricchezza netta, attorno a 50.000 Euro; è tuttavia molto inferiore, circa 12.000 Euro, per il 20% delle famiglie più povere e molto superiore, 171.000 Euro, per il 5% delle famiglie più abbienti.
Tra il 2014 e il 2016 la ricchezza netta media è diminuita del 5% a prezzi costanti, proseguendo la flessione avviatasi nel 2010. Come in passato, evidenziano da Bankitalia, il calo è stato determinato dall’andamento delle attività reali che ha riflesso prevalentemente la riduzione del valore degli immobili. Ha pertanto interessato prevalentemente i patrimoni dei proprietari, che sono più elevati: mentre la mediana e il nono decile della ricchezza netta sono diminuiti, a prezzi costanti, rispettivamente del 9 e di oltre il 6%, il secondo decile è cresciuto di circa il 4%.
Nel decennio tra il 2006 e il 2016, i due decili più bassi della ricchezza netta sono passati, rispettivamente, da 2.300 a 1.100 Euro e da 12.000 a 6.200 Euro, la mediana è scesa da 166.000 a 126.000 Euro e il nono decile da 580.000 a 462.000 Euro.
La flessione della ricchezza nel corso del decennio tra il 2006 e il 2016 ha interessato tutte le famiglie, in misura pressoché indipendente dall’età o dall’attività principale. Nel complesso del periodo, l’indice di Gini della ricchezza netta è rimasto sostanzialmente stabile, intorno al 61%, tornando sui valori iniziali dopo essere aumentato tra il 2008 e il 2012.
Le attività finanziarie e gli strumenti di pagamento
Alla fine del 2016, la quota di famiglie che detenevano attività finanziarie è ancora salita, all’84% dal minimo del 79% raggiunto nel 2012, tornando sui livelli prevalenti prima della crisi finanziaria. Il valore medio familiare di tali attività era pari, tra chi le possedeva, a 33.000 Euro (31.000 Euro a prezzi costanti nel 2014). Solo circa il 22% deteneva almeno un’attività finanziaria diversa da depositi bancari o postali in conto corrente (contro circa il 26% nel 2014), per la maggior parte nella forma di investimenti diretti in titoli di Stato, obbligazioni private, azioni e titoli esteri. Il valore medio della ricchezza finanziaria di queste ultime famiglie era pari a circa 87.000 Euro.
La distribuzione delle attività finanziarie è analoga a quella della ricchezza netta. Il 30% delle famiglie italiane con patrimonio netto più basso detiene circa il 4% della ricchezza finanziaria complessiva (in media circa 4.000 Euro a famiglia); il 30% di quelle più abbienti ne possiede poco meno dell’80% (in media circa 72.000 Euro), di cui oltre metà riconducibile ai nuclei appartenenti al 5% più ricco, che detengono in media circa 220.000 Euro in attività finanziarie.
A questo divario si associano portafogli con composizione molto diversa. Le famiglie appartenenti al quinto più povero detengono principalmente depositi; nelle classi centrali di ricchezza netta cresce progressivamente la quota di titoli di Stato, obbligazioni private e investimenti gestiti (prevalentemente fondi comuni); sono soprattutto le famiglie appartenenti al 20 per cento più abbiente a detenere direttamente azioni e ad affidare la gestione di una parte cospicua delle loro attività finanziarie a operatori professionali.
Tra il 2006 e il 2016 la ricchezza finanziaria è divenuta più concentrata: la quota di attività finanziarie posseduta dalla metà delle famiglie con ricchezza netta più bassa è scesa di circa 5 punti percentuali, a poco meno dell’11%; quella detenuta dal 10% più abbiente è salita di quasi 5 punti, a poco meno del 53%. La maggiore concentrazione si è accompagnata con una diffusa riduzione della quota di famiglie che detengono titoli di Stato, obbligazioni, azioni, fondi comuni e gestioni patrimoniali, mentre è aumentata, pur restando complessivamente contenuta, la quota di famiglie più abbienti che detengono titoli esteri, in linea con l’aumento complessivo della quota delle attività sull’estero. Questi andamenti, sottolineano da Bankitalia, hanno tuttavia contribuito solo marginalmente alla maggiore concentrazione che ha invece riflesso prevalentemente la riduzione del valore complessivo dei portafogli detenuti dai quattro quinti delle famiglie meno abbienti e la crescita di quello detenuto dal 20% più ricco.
Il concetto di ricchezza finanziaria evidenziato finora non include il risparmio investito nella previdenza complementare, in piani pensionistici personali e nelle assicurazioni Vita in quanto non sono nella piena disponibilità della famiglia. Secondo i conti finanziari, il valore delle riserve tecniche, che include i fondi pensione e le assicurazioni del ramo Vita, ammonta a circa il 23% del totale della ricchezza finanziaria lorda detenuta dalle famiglie.
Secondo l’Indagine di Bankitalia, in circa il 15% delle famiglie almeno un componente ha dichiarato di aderire a fondi pensione o assicurazioni Vita per integrare la pensione pubblica; la quota è più elevata al Centro Nord (17%; l’11% nel Mezzogiorno). Tra i lavoratori dipendenti, queste forme di previdenza integrativa sono più diffuse tra i dirigenti (43%; circa il 25 e il 14%, rispettivamente, tra gli impiegati e gli operai), mentre il divario tra classi d’età è decisamente più contenuto (poco meno del 20% nelle fasce tra i 20 e i 45 e tra i 56 e i 65 anni e del 30% in quella tra i 46 e i 55 anni); tra i lavoratori autonomi vi aderisce il 17%, senza divari apprezzabili tra classi di età.
La diffusione degli strumenti di pagamento elettronici, infine, resta elevata. I tre quarti delle famiglie intervistate possiedono una carta di debito e circa un terzo possiede una carta di credito; è cresciuta la quota di famiglie che ricorrono a carte prepagate (a circa il 25% dal 21% nel 2014). È proseguita, in tutti i gruppi socio-demografici, l’espansione dell’utilizzo di strumenti di online banking: nel 2016 vi ha fatto ricorso poco meno di un terzo delle famiglie.
Intermedia Channel
Banca d’Italia – Indagine sui bilanci delle famiglie italiane nell’anno 2016 (contiene anche i paragrafi relativi ad immobili ed abitazioni, indebitamento e misure di disagio economico basate sulla ricchezza e sul reddito)
Indagine sui bilanci delle famiglie italiane nell’anno 2016 – Dati per i grafici