Quando l’assegno pensionistico complessivo e le coperture sanitarie integrative meritano la sufficienza e quando no. Il presidente del Consiglio Nazionale Giampaolo Crenca: “Attuario valutatore dell’incertezza, sempre più manager della gestione dei rischi al servizio di Stato, istituzioni e imprese”
Quando l’assegno pensionistico percepito alla fine di una carriera lavorativa si può definire sufficiente? In occasione del loro XII Congresso Nazionale, in corso a Roma, gli attuari – i professionisti “impegnati in prima linea nei meccanismi di calcolo previdenziale” – hanno risposto all’interrogativo dando i voti e stilando una vera e propria pagella. La sufficienza si raggiunge con una copertura tra il 50% e il 70% dell’ultimo stipendio, ottenuta con la pensione base più eventuale assegno integrativo. Al di sotto ci sono l’insufficienza piena, quando la pensione non arriva complessivamente a superare il 30% dell’ultima retribuzione, e la quasi sufficienza, quando la percentuale è compresa tra il 30% e il 50%. La pensione si può valutare “pienamente sufficiente” quando raggiunge una percentuale compresa tra il 70% e l’80% della retribuzione. Al di sopra dell’80% può essere decisamente definita ottima.
Analogamente gli attuari hanno dato i voti al livello di copertura dei fondi sanitari, completando quella che si potrebbe definire la pagella del welfare italiano. Qui l’insufficienza corrisponde all’assenza totale di copertura sanitaria integrativa. Il voto “quasi sufficiente” viene attribuito alla semplice copertura di grandi interventi e di grandi eventi morbosi, ma solo per chi ancora lavora, più la copertura della non autosufficienza (LTC-Long Term Care) sia per i lavoratori attivi sia per i pensionati.
Per meritare la sufficienza occorre che le stesse coperture per grandi interventi e grandi eventi morbosi siano estese anche ai pensionati, come la LTC. Se a queste prestazioni si aggiunge la copertura dei ricoveri, il voto diventa “pienamente sufficiente”. Per ottenere il massimo, corrispondente all’ottimo in pagella, ci vogliono in più anche la copertura dell’alta diagnostica, delle visite specialistiche e delle analisi diagnostiche.
Previdenza e assistenza, assicurate ai cittadini con la combinazione di pensioni e sanità di base più forme integrative, sono parte determinante di un progetto di welfare integrato e allargato, fondato sulla collaborazione tra pubblico, privato e terzo settore, che la cateogira ha presentato durante i lavori del XII Congresso. A Governo, istituzioni e forze politiche gli attuari “offrono il contributo della loro esperienza e competenza che dalle analisi quantitative e dai calcoli e assicurativi e previdenziali, volti a determinare tariffe e assegni pensionistici sostenibili nel tempo, si è via via allargata all’analisi e alla gestione del rischio nelle attività finanziarie e nelle imprese”.
Giampaolo Crenca, presidente del Consiglio Nazionale, ha definito gli attuari “valutatori dell’incertezza”, delineandone un futuro “sempre più manageriale legato alla gestione del rischio e alla partecipazione alle decisioni di Governo e imprese finanziarie e non”.
In Italia, dove gli iscritti all’Ordine sono oltre 1.000, è una professione giovane (oltre un quarto degli iscritti ha meno di 35 anni, quasi il 60% è under 45) e sempre più “rosa”, con il 42% di donne. Oggi gli attuari lavorano soprattutto nelle assicurazioni (45%), nella previdenza e nei fondi sanitari (16%) e come liberi professionisti (11%), oltre a un 5% nel mondo finanziario e altrettanto nelle Autorità di vigilanza, mentre il restante 16% si divide tra insegnamento, imprese non finanziarie e altro. In prospettiva, ha affermato Giampaolo Crenca, il numero degli attuari aumenterà in tutti i settori, ma cambieranno i pesi: 35% assicurazioni, 22% previdenza e fondi sanitari, 17% libera professione, 9% mondo finanziario, 4% Autorità di vigilanza, 8% imprese non finanziarie e 5% altre attività.
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