
Il climate change sta cambiando la metrica nell’underwriting assicurativo. Sollecitate dai regulator le compagnie sono spinte ad incorporare le aspettative sul futuro in metodologie che tradizionalmente misurano i rischi in base alle serie storiche dei sinistri, cioè di quello che è già avvenuto. Gli assicuratori sono restii a compiere questo passo in mancanza di metodi scientifici affidabili sulle traiettorie del climate change e dei suoi effetti. Ed hanno buoni alleati al loro fianco, gli assicurati. Se il cambiamento climatico fosse incorporato per interno dei modelli di sottoscrizione i prezzi delle polizze scatterebbero immediatamente all’insù. Il problema si sta presentando concretamente negli Stati Uniti dove il National Flood Insurance Program (NFIP), l’ente pubblico che offre coperture contro le inondazioni, dovrebbe aumentare di 4-5 volte le sue future tariffe – hanno stimato in queste settimane alcuni analisti – per coprire il rischio rispetto ad un premio medio attuale di $ 981. è una prospettiva che allarma i proprietari di case di California, Florida, Carolina e Texas, dove sono localizzati gli immobili più esposti al maltempo. Quindi si oppongono agli aumenti anche se, per questa via, molti rischi ambientali potrebbero diventare inassicurabili in futuro.
è la «tragedia dell’orizzonte» come la definì l’ex governatore della Bank of England, Mark Carney. «Non abbiamo bisogno di un esercito di attuari – disse Carney partecipando ad un evento dei Lloyd’s (2015) – per dirci che gli impatti catastrofici dei cambiamenti climatici si faranno sentire al di là degli orizzonti tradizionali della maggior parte degli attori, imponendo un costo alle generazioni future che l’attuale generazione non ha alcun incentivo diretto a correggere».
In realtà qualcosa si può fare per contrastare l’inerzia. Conoscere in anticipo gli effetti del climate change consente strategie di adattamento e mitigazione dei rischi. Se gli assicuratori possono contribuire alle policy di adattamento – ad esempio imponendo agli assicurati tipologie di immobili più resistenti al fuoco o alle inondazioni – la mitigazione dei rischi sembra soprattutto affare degli stati e degli organismi sovranazionali. Sono soprattuto quest’ultimi che debbono convincere cittadini ed imprese ad abbandonare l’economia del carbone, riducendo le emissioni di CO2 e, così facendo, sperare che gli effetti del climate change non siano devastanti. Comunque sia è chiaro che soltanto schemi efficaci pubblico-privati possono fronteggiare le catastrofi naturali permettendo al mercato assicurativo di continuare ad offrire le protezioni. è infatti in questa direzione che va la nuova strategia sul clima annunciata in questi giorni dall’Unione Europea.
Le compagnie, per la verità, hanno anche un’altra strada da percorrere. Possono «scaricare» i rischi catastrofali sul mercato finanziario (in alternativa alla riassicurazione) ciò che già fanno con i cat bond. Nel 2020 questi strumenti hanno registrato emissioni record per $ 11 miliardi. C’è una differenza di timing da tenere presente. Le polizze degli assicuratori hanno una durata annuale. Alla scadenza i loro prezzi possono essere aggiornati per tener conto della nuova stima dei rischi. I cat bond invece sono emissioni a 3-5 anni. Anche nel caso dei cat bond, chi calcola il loro expected loss lo fa utilizzando serie storiche dei sinistri (su un periodo di tempo che raggiunge un orizzonte di cento anni). Tuttavia quanto più il mercato di questi strumenti finanziari aumenterà il suo spessore ed efficienza, tanto più le aspettative degli investitori (influenzate anche dagli studi aggiornati sul climate change ) contribuiranno a far incorporare nei prezzi la corretta misurazione del rischio ambientale.
di Riccardo Sabbatini